Krueger

i ruggiti dell'anima

di Leo Altoriso

1 - ..et organo - Materia Prima

La chiesa di San Filippo era grande, enorme, e il pavimento di legno una calda sicurezza.

La ragazza invece era minuta, aveva pantaloni stretti, maglie larghe sovrapposte e scarpe grosse. Occhi piccoli, incastonati in un viso angusto e camminava sbilenca come una bici con le ruote storte.

Il prete si affannava intorno all'organo, sbuffava e cercava di farlo funzionare.

Krueger, la ditta che l'aveva fabbricato.

L'organo, non il prete.

Quantunque anche il prete, per una strana deviazione del destino, si chiamava Krueger.

L'organo era in alto, alla destra dell'altare; un'altro simile era a sinistra.

La ragazza passava spesso in quella chiesa; quell'inusuale pavimento di legno caldo le spalmava quiete sull'anima. Non credeva in 'quel' dio, ma in un qualche dio forse sì; ed era curiosa e aveva ventitré anni e tutti dicevano che fosse un poco strana.

Rimase un po' li con ilnaso in alto a guardare di sotto in su il prete che si affannava su mantici manopole interruttori e altre cose meccaniche; il prete sbuffava, i mantici sbuffavano, la situazione stessa sbuffava; tutto quel rumore in una chiesa.

Il prete si era stufato di questo Krueger che non ne voleva sapere di funzionare e appoggiandosi alla balaustra aveva visto la ragazza che era lì sotto con il viso a punto interrogativo.

Si guardarono un po'.

Lei curiosa, naso puntato in sù.

Lui imbarazzato di tutte le parole che aveva detto.

Lui le disse 'non funziona' e con le mani fece il gesto della pistola oscillante.

Lei lo guardò un po' e stette muta, ben sapendo che il prete pensava 'questa è un po' tocca', ben pensando che un po' sapeva suonare, ben sicura che un po' voleva suonare, per questo quando gli disse 'ci provo io' sapeva di aver fatto qualcosa di diverso, quelle piccole cose che una volta capitano e mai più capiteranno e uno pensa o le faccio adesso o mai più.

Per questo la ragazza e il prete erano lì di fronte a Krueger.

Il prete si agitava sugli interruttori, premeva un tasto a caso della tastiera, si sentiva un sibilo d'aria ma nessun suono; vedi non va, le diceva con lo sguardo e gli sbuffi.

Ma a ben guardare, quello sguardo e quegli sbuffi sembravano nascondere una proposta.

La ragazza spostò un po' di interruttori, a caso, premette un tasto, e l'organo suonò.

Una nota.

L'aria mossa chissà da chi e chissà come era arrivata in una canna: l'aveva percorsa altera, lunga, e uscendo da una fenditura aveva fatto vibrare l'aria e la chiesa e il pavimento e le statue e i drappi e fors'anche il crocifisso.

La ragazza continuava a premere il tasto, la canna a suonare, l'aria a vibrare.

Il prete guardava la ragazza, la ragazza guardava il tasto, il tasto aveva dato sfogo all'aria, l'aria era passata in un condotto, il condotto raggiungeva la canna, lì passava vibrando e suonava, il suono arrivava all'orecchio del prete, che guardava la ragazza che guardava il tasto e daccapo.

Non seppero mai per quanti secondi questa cosa continuasse; ma i due erano ipnotizzati e Krueger suonava.

La ragazza mosse la mano, sempre lasciando premuto il tasto, e ne premette insieme un secondo e l'aria risuonò diversa, poi un terzo e l'accordo si formò vibrando su di loro.

Lei alzo gli occhi e guardò il prete; il prete si girò a guardare in basso, a fianco della pedaliera e anche la ragazza mosse lo sguardo nella stessa direzione; fissavano la targa 'Krueger' di ghisa fusa.

La ragazza alzò lo sguardo sulla propria mano, sempre premuta sui tasti, sulla tastiera doppia, sui tasti dei registri di madreperla colorata, sulla radica di noce che faceva di sfondo e li conteneva.

Sempre con quel lungo accordo di sottofondo, con la mano libera accarezzò la radica; piano, dolcemente.

Nell'aria continuava a vibrare il suono, e le sue dita sfioravano lievi i registri di madreperla, uno a uno; non ne conosceva bene il significato, ma qualcosa glieli faceva amare; sì, amare, di una dolcezza sconosciuta e senza alcun senso apparente.

Bordati d'ottone. Di forma arrotondata, lunghi, sinuosi, pronti a muoversi con il movimento a leva, scendendo verso il basso o risalendo verso l'alto. Ubbidienti, docili. E forti.

Solo immaginò cosa potesse succedere nel muoverne uno; ma non lo fece.

In un attimo di estrema lucidità e forza ritrasse le dita dalla tastiera. Insieme, di colpo.

Il suono eccheggiò nell'architettura elegante e si disperse in mille rivoli; a stare attenti se ne poteva seguire ognuno.

Il prete e la ragazza avevano gli occhi verso l'alto della chiesa, le orecchie tese a sentire ogni rimbalzo, a percepire la più piccola delle vibrazioni.

Infine, il suono cessò, e i loro occhi si incontrarono.

Quegli occhi si dissero qualcosa d'impossibile, come se già sapessero, ben prima che l'impulso percorresse il nervo ottico e arrivasse al cervello, come comportarsi, come guardare.

Quello fu l'inizio.

Il prete le chiese se sapesse suonare. Lei annuì.

Lui disse allora quando vuoi vieni qui e suona; sembra che Krueger suoni solo con te.

E la lasciò sola lì.

Lei aveva ancora la mano sui registri.

Li accarezzò, piano; notandone il colore, il nome, la posizione. Due erano simmetrici, color marrone più o meno nocciola; sembravano due occhi di uno sguardo un po' torvo.

Accarezzò la radica di noce, e la curva forte che mostrava passando dal verticale della parete con i registri all'orizzontale della tastiera.

Accarezzò le due tastiere; ogni tasto, prese il panno e lo mise su entrambe; chiuse il grande sportello che le proteggeva.

Spense tutti gli interruttori, e se ne andò.

La notte della ragazza fu una notte di sogni; il mattino non li ricordava, ma le restava un gusto dolce tra le palpebre.

Tornò subito in chiesa, con le maglie abbondanti, i pantaloni stretti e le scarpe larghe; il prete stava uscendo e le disse solo vai pure, e scappò via veloce.

Mentre i passi rimbombavano sul pavimento di legno guardava le canne lassù sulla balaustra; più si avvicinava e più le voleva vicino.

Salì la scaletta e si trovò davanti a Kruger; mosse gli interruttori e provò la tastiera e vide che suonava. Bene.

Così provò a suonare qualcosa che già conosceva; certo era diverso rispetto alla tastiera di casa.

I tasti erano molto pesanti da azionare e facevano un rumore forte e fastidioso nel premerli, una specie di 'clac' quando venivano premuti e anche quando venivano rilasciati, con tanto di rumore di valvole che si aprono e chiudono. Per non parlare della pedaliera; pesantissima. Con quelle scarpe poi.

Per fortuna non c'era nessuno; provava e riprovava ma era impossibile riuscire a suonare comodamente. Anche i suoi pezzi preferiti: venivano rovinati da quelle difficoltà meccaniche.

Cominciò ad infastidirsi; che ci faccio qui a perdere tempo. Sbagliò qualche nota e s'innervosì.

Guardò la piastra 'Krueger' quasi con odio, e all'ennesimo errore dovuto a quella goffaggine tirò un calcetto all'organo, proprio sopra alla pedaliera.

Un pedale di colpo si alzò e le colpì un ginocchio; lei rimase esterrefatta. Come può alzarsi un pedale? sono fatti per essere premuti, non per alzarsi.

Chinata per massaggiare il ginocchio dolorante cercò il colpevole. Era lì, riconoscibile perchè più lucido degli altri.

Il mantice soffiava aria, lei soffiava rabbia. Stupido organo. Krueger vai al diavolo.

Alzò gli occhi e vide il prete lì, vicino a lei. Aveva visto?

Il prete le disse che non si riusciva a suonare quell'organo; troppo pesante, anche per lui, troppo duri i meccanismi, troppo vecchi; troppo costoso aggiustarlo, tanto valeva metterne uno nuovo. Magari lasciare le canne, quelle sì, storiche e 'di un metallo irripetibile', diceva, ma cambiare tutto il resto. Provò a suonarlo: durissimo, ingestibile.

La ragazza pensò al pedale e al ginocchio dolorante; si chinò ancora a guardare il pedale colpevole.

Di metallo, ottone, elegante, allungato. Più pulito degli altri, brillava; in compenso i suoi pantaloni erano sporchi all'altezza del ginocchio. Però era bello, e le luci dalle vetrate lo facevano risplendere.

Immaginando come sarebbe stata la pedaliera pulita, pensò a tutti i pedali lucidi e allineati. Così prese uno straccio e, uno a uno, li pulì tutti dalla polvere.

Uno spettacolo.

Risplendevano in fila, uno dopo l'altro, veniva voglia di stendercisi sopra.

Il prete se n'era andato e, mentre li puliva, provò a premerli con le mani, invece che con i piedi; che sorpresa! il suono basso si faceva sentire forte ma, cosa che la impressionava, riusciva a premerli con le mani con il minimo sforzo, mentre prima con i piedi doveva quasi drizzarsi per fare forza sufficiente ad azionarli. Riprovò con i piedi; nulla, difficile riuscire a smuoverli; mentre con le mani risultava facile.

Allora provò a togliersi le scarpe; così... era facile! La pedaliera, docile, funzionava perfettamente!!

Ma cos'è quest'organo, cos'è questo Krueger!! La piastra brillava. La lucidò per bene, delicatamente, mentre si faceva un mucchio di domande; com'è possibile?

Questo Krueger è attento a me, pensò. Mi sente.

Provò una sensazione profonda e dolce; da quant'è che non trovo qualcuno che mi consideri, che sia attento a me?

Si rimise a suonare, scalza.

Questa volta sia la tastiera che la pedaliera ubbidivano docili, leggere. Non era abituata a stare scalza; il piede che avvolgeva la pedaliera le faceva sentire una specie di carezza e così tra i piedi e le mani sembrava che lo abbracciasse quattro volte; se poi, suonando, piegava la testa verso la tastiera e i registri si sentiva completamente avvolta da Krueger. Protetta, in lui.

In quelle condizioni le note uscivano lievi, la musica componeva le proprie melodie, nell'aria eccheggiavano Bach, Hendel e tante altre composizioni che la ragazza non conosceva ma che, mettendo uno spartito davanti, le veniva facile suonare.

Non era mai stata molto brava, in questo. Ma con Krueger era diverso; ogni spartito prendeva vita.

Lo metteva davanti, lo provava e poi.. via. Una volta, cercando quale fosse l'accordo successivo si accorse di qualcosa di strano: le sembrò che i tasti che avrebbe dovuto premere si cominciassero ad abbassare da soli, e che le sue dita fossero naturalmente attirate verso di loro.

Non si fece molte domande: bastò lasciarsi andare, perdersi, fondersi con lo spartito, la chiesa, e Kruger.

Fu una stagione intensa; il prete era molto contento, a volte qualcuno veniva in chiesa solo per sentire l'organo, e le melodie risuonavano spesso.

La ragazza era felice di lasciarsi andare; si sentiva protetta, avvolta, da quella strana entità che in qualche modo ne sapeva più di lei, che la rassicurava.

Acquistava in consapevolezza, in chiarezza. A volte a casa, ripeteva sulla tastiera le musiche provate con Kruger: magia! Riusciva a suonarle anche lì! Certo, non con la mestosità della chiesa, ma aveva acquisito una certa capacità di lasciarsi andare alla musica e di suonare bene.

Tanto che la invitarono spesso a concerti e serate; faceva sempre un'ottima figura suonando le musiche imparate con Krueger.

Aveva preso il gusto di vestirsi diversamente; cominciò ad usare vestitini che le sottolineavano la figura, scarpe più sottili e cominciò anche a tagliarsi i capelli con regolarità e a curare la propria persona e l'immagine con un filo di trucco.

Il prete osservava stupito questo cambiamento; in così pochi mesi, non era neanche passato un anno.

Gli occhi si erano fatti più grandi e più distanti (ma forse era il trucco), l'espressione più fiera e sicura, altera, il portamento decisamente più elegante.

Sia prima di suonare, che dopo, che durante, accarezzava sempre Krueger: con le mani, con i piedi, lasciando che i capelli sfiorassero la tastiera.

Suonava spesso; le piaceva farlo nelle ore in cui la chiesa era meno frequentata e a volte provava nuovi timbri e composizioni personali.

Fu un giovedì che lo sentì per la prima volta.

Una nota, singola, sembrò.. strana. Non stonata, ma dal suono meno costante.

Pensò: forse Kruger è malato.

Il mantice soffiava bene, i tasti scorrevano.

Continuò con quella nota, poi passò ad un'altra; e fu proprio lì, nel passaggio tra una e l'altra, che lo sentì.

Non poteva crederci e ripetè la sequenza.

Di nuovo.

Provò con un'altra sequenza di note e... ancora.

Lo guardò nei registri, accarezzo la tastiera, la targa, la radica.

Gli sorrise.

Lo guardò negli occhi dei registri nocciola, al fondo di quello sguardo un po' torvo.

Le scese una lacrima.

E per la prima volta parlò a Krueger.

Si sentiva stupida e fiera insieme, a parlare ad un organo.

Gli disse: "Hai pronunciato il mio nome. "

"Hai detto Minah."

Kruger abbassò i due registri nocciola e li rialzò, come per annuire.

Lei riprovò e riprovò ed era sempre più chiaro: il suo nome risuonava nella chiesa, mille volte in mille modi e accordi.

Lo fece sentire al prete che... non capì, non sentiva, o almeno non gli sembrava, ma forse son duro d'orecchi, diceva, con viso deciso. Troppo deciso.

Ciò che Minah non poteva vedere era il viso del prete che, nascosto per non farsi vedere, si asciugava una lacrima.

Da allora Minah e l'organo Krueger parlarono tra loro; si salutavano, commentavano la musica, i sentimenti, lo stato della conoscenza di questa o di quell'altra composizione.

Kruger prediligeva certe melodie forti con molti bassi mentre Minah preferiva far risuonare le piccole canne argentine; si perdevano in ore di musica insieme.

Kruger dava a Minah ciò che lei non aveva: la conoscenza profonda della musica ed il sentirla col cuore; Minah le dava la sapienza delle cose nuove del mondo, le notizie, gli avvenimenti.

Si abbracciavano spesso, a volte senza suonare; carezze, buffetti, strofinamenti, lei abbandonava la sua testa su di lui, a volte addormentandosi; sentiva di avere una vita piena, felice.

Pensava di essere innamorata; ma non era quello un innamoramento, che aveva già conosciuto; era qualcosa di simile, ma diverso.

Non le importava del resto del mondo.

Krueger, e la musica, l'avevano trasformata; elegante, altera, si muoveva sicura tra la gente. Era diventata più aperta, sociale, comunicativa; la sicurezza acquisita l'aveva fatta diventare un'altra persona.

Così bella ed elegante che qualcuno non tardò ad innamorarsi di lei.

Era maggio ed una luna complice illuminava dal finestrone i concerti notturni; Minah ondeggiava con la testa sulla "musica per fuochi d'artificio" di Hendel ed un ragazzo là sotto ne fu colpito profondamente.

La invitò a prendere un caffè, e a cena, e ancora e ancora; ed era sempre più bello e coinvolgente.

Minah ne era lusingata, e ne aveva parlato a lungo con Krueger; si abbandonava volentieri a quei corteggiamenti, si lasciava andare alle lusinghe più invitanti, godeva appieno della vita.

Era felice.

Krueger aveva avuto bisogno di qualche piccola manutenzione; per questo si erano incontrati meno assiduamente.

Quando ricominciarono a suonare, lui parlava meno facilmente, e sembrava fosse tornata un po' della difficoltà iniziale nel premere i tasti.

Ad un certo punto Kruger suonò da solo una melodia un po' triste, in cui Minah udì chiare le parole:

"Questo nostro vivere insieme forse ti è d'ostacolo, per la felice storia che stai vivendo con quel ragazzo.

Ho due pensieri che si contrappongono.

Nel primo, ho l'istinto di farmi un pochino da parte, di lasciar libero dello spazio per far sì che tu viva questa esperienza con l'aria pulita intorno. Almeno nel suo periodo più forte. E tornare quando le acque saranno più calme. Perché certe cose vanno vissute a pieno.

Nel secondo voglio starti vicino come l'amico a cui confidare entusiasmi, dubbi e tutto ciò che passa dal cuore alla testa.

Per ora le condizioni esterne hanno portato alla prima, ma nel cuore vive la seconda."

Minah gli parlò.

"Krueger, come puoi. Come puoi pensare che esista una via diversa da quella del cuore.

Non sarei qui senza di te; non saremmo qui senza di noi, non esistiamo senza ciò che ci lega.

Come puoi. Come puoi pensare che esista una scelta, che si possa veramente scegliere se essere vivi o morire. Con la tua musica mi hai detto che si può amare il mondo in infiniti accordi su infinite melodie; ora mi dici che esistono musiche che non si possono, che non si devono suonare? Guardami Krueger, ascoltami. Apri bene i registri. Il mondo è cambiato da quando ci parliamo; siamo vivi. Prima eravamo in balia delle cose, ora siamo uno la forza dell'altra. Cos'è passato tra i tuoi mantici e le tue valvole, quale ombra è passata sul tuo cuore, per dirmi che esiste felicità senza te? Per dirmi che sarebbe meglio per me che tu ti facessi da parte? Che esista aria pulita dove tu non ci sei?

Certe cose vanno vissute a pieno, dici? Esiste forse un "a pieno" senza di te?

Andartene? e tornare? acque calme? Cosa stai dicendo? E' questo che pensi di essere per me, un qualcosa di facoltativo, che io possa prendere e lasciare a seconda delle convenienze del mondo? Sei la quintessenza della conoscenza della musica e delle emozioni, come puoi non capire un movimento del cuore così forte che in me?"

Piano piano, i mantici cessarono di soffiare.

Minah piangendo cercò di azionare qualche interruttore, così, a caso. Non servì.

Krueger si spense.

Non suonò più.

Tornò il prete che vide la scena; vide la ragazza che si agitava sugli interruttori, che premeva i tasti, Krueger che non suonava.

La guardò da sotto in su; lei da sopra, con le lacrime agli occhi gli disse 'non funziona' e fece il gesto della pistola oscillante.

Il prete salì vicino a lei e a Krueger; accarezzò le canne dell'organo, poi guardò la ragazza come chi non può dire.

I pensieri gli turbinavano in testa ma non trovarono neanche una parola sulla quale atterrare.

Tutto quello che riuscì a fare fu accarezzarle la mano e dirle:

"Abbiamo tanto da imparare ancora, Minah".

Per la prima volta da anni, il prete vide luccicare il futuro.

[la chiesa in cui è ambientato il racconto è san Filippo Neri, a Torino; l'organo nella foto è della chiesa di san Michele, a Druento ]

C'è la pagina Facebook di Krueger, e il romanzo si può approfondire e comprare su krueger.losero.net