Krueger
i ruggiti dell'anima
Krueger
i ruggiti dell'anima
8 - ...cogitatione, verbo et opere, mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa.
La situazione poi... sottobraccio ad un prete in abito talare, per le vie di Torino: veramente inconsueta e intrigante.
Sguardi curiosi li seguivano; lei era abituata ad essere appariscente e a farsi guardare e sapeva come gestire questi sguardi sopportandone dolcemente l'insistenza senza dare loro importanza; la cosa strana era che.. anche lui, anche il prete, ne sembrava in qualche modo consapevole come se fosse abituato all'insistenza dell'occhio dei passanti e non se ne curava più di tanto.
Inoltre, tutte le cose che le aveva detto! Aveva avuto la giusta intuizione quando, poche ore prima guardandone l'espressione del viso in Duomo, gli aveva chiesto di confessarsi: da lì in poi un fiume di parole, era sembrata una confessione reciproca, l'uno trovava nell'altra argomenti da affrontare a profusione, uno dopo l'altro: sembrava che il tempo non sarebbe mai bastato a dirsi tutto.
Ancora adesso, si sentiva stordita dalle sue parole, dai pensieri che la stavano conducendo in una nuova zona della mente; dopo anni a conoscere e praticare il suo mestiere di particolare psicologa lui le stava suggerendo un modo nuovo di concepire il rapporto con i 'pazienti' e l'intera sua vita. Questo nuovo modo sapeva di speranza, di aria fresca, di gioia e di novità e si inseriva proprio dove c'erano state note stantie di piccole malate perversioni che ingrigivano tutti i colori che pur balenavano nella sua mente.
Era come dire ecco, allora avevo ragione, c'è luce in questi posti, c'è del buono nella mia vita.
C'è del buono in chi mi cerca.
In Duomo li aveva interrotti l'inizio di una funzione; l'aggregarsi delle persone aveva reso sempre meno consueta la posizione che avevano assunto nel parlare, lui seduto spalle all'altare a guardare la controfacciata e lei, seduta al suo fianco, rivolta all'altare. Oltre alla vicinanza fisica dei visi che veniva a prodursi, la differenza di genere, il contrasto tra l'abito talare ed il tailleur li rendevano una coppia eccessivamente visibile nel compassato ambiente della chiesa.
Su entrambi ricadeva la sensazione di questa situazione poco sostenibile, e quando lui le disse che sì poteva continuare fuori la conversazione, lei sorrise leggera e lui si stupì un poco di sè stesso, per questa fiducia che stava accordando ad una persona appena conosciuta. Così lui si alzò e camminando nello spazio centrale tra i banchi uscì dalla chiesa dalla porta in cornu evangelii, mentre lei parallelamente uscì dalla navata laterale e quindi dalla porta in cornu epistolae.
Così fu strano, uscendo, nella luce nuova del sole dopo il temporale, camminare l'uno verso l'altra sulla pietra bagnata di pioggia ed incontrarsi a metà forse un po' impacciati nel ricostruire la situazione complice che la loro coppia proiettava intorno. "Magari possiamo prendere un caffè" - lei propose, e lui annuì e si incamminò scendendo la scalinata e andando verso il campanile. Lei lo seguì per le scale pochi passi indietro e, raggiuntolo sul selciato, infilò la sua mano sotto il braccio di lui per camminare insieme.
Il gesto le fu naturale, semplice; averlo così sottobraccio le dava una leggera sensazione di potenza, simile a quella che provava sul lavoro, era un poco inebriata dall'avere catturato e agganciato una persona come quella. Lui sentì il braccio sottile agganciarlo, il passo sicuro affiancarlo, il suo profumo spandersi leggero intorno. Il calore del braccio, la piccola pressione della stretta, gli sfregamenti minimi dovuti alle piccole differenze di oscillazione dei passi ineguali: lo assalirono le sensazioni forti di ricordi più antichi di lui, lampi delle visioni ormai ricorrenti.
In queste visioni era presente la femmina che sembrava unirsi a lui con la stessa leggerezza, in una specie di danza, porgendo la mano sinistra alla sua che la cercava, mentre la destra di entrambi reggeva un lungo fiore di cui incrociavano gli steli; una sensazione da fine del mondo lo esaltava e lo atterriva insieme.
La visione lo tormentava, a volte prendeva forma di sogno e si svegliava d'improvviso, altre volte l'assaliva mentre lavorava a scuola, e sempre con un senso di panico e assenza d'aria; questa volta, invece, tutto questo non gli dava sensazioni negative; quel braccio dolcemente appoggiato a lui sembrava dare un senso anche a quelle visioni, alleggerirne il peso, anzi, rendere quasi invitante l'approfondimento, la ricerca, il volere trovare un senso alle allucinazioni che da qualche anno lo interrogavano improvvise.
Così si avviarono sottobraccio lungo la via XX settembre e, dopo pochi passi girarono intorno al campanile.
Lei notò il suo sguardo che saettava dai resti romani, verso corso Regina, o verso il campanile, ed i suoi passi che sembravano tastare il terreno; capì che in quel momento non era lei l'interesse al centro della sua testa, che non c'era inoltre un bar nelle vicinanze, e cercò di capire, chiedendo dove fossero diretti; lui rispose che, se le faceva piacere, sarebbero andati alla caffetteria di Palazzo Reale, passando nel corridoio appena a sinistra del Duomo.
Lui notò il suo leggero smarrimento, registrò la distanza che si stava creando tra loro rispetto a qualche minuto prima, ma questo non lo indusse a correzioni. Anzi. La sua mente era stata presa prima dai resti romani; rappresentavano una metà di un teatro romano, verso di loro c'era la curva che doveva accogliere gli spettatori; questa curva, invece di descrivere un semicerchio intero, descriveva solo un quarto di cerchio perchè la manica del Palazzo Reale copriva l'altra metà; era stato costruito sopra ai resti romani, quando ancora non si sapeva esistessero. Da quel pensiero passò al fatto che stavano percorrendo un decumano minore; quando fondarono Torino il decumano maggiore, l'asse viario principale, era l'odierna via Garibaldi, a partire dalla porta Fibellona (oggi Palazzo Madama) fino alla porta Doranea, che sarebbe oggi all'altezza di via della Consolata. Questo decumano minore era stato costruito largo per consentire l'afflusso degli spettatori al teatro. Dopodichè tutto fu coperto, nelle epoche successive, ed i materiali dei romani utilizzati come supporto di costruzione; un'occhiata alla finestra nord del campanile restituiva come architrave proprio un marmo di quei tempi. Poi esattamente, dove stavano camminando, vennero costruite case, e loro camminavano in spazi che furono ambienti vissuti, e che quindi vennero abbattuti. I duemila anni di storia che giacevano sotto i loro passi gli stavano assalendo la mente e fu proprio la stretta un po' più decisa del braccio di lei a farlo ritornare in sè, al presente e adesso. Pensò a quanto sia relativo il tempo, quello che lui chiamava 'il grande ingannatore'; e a quanto fosse dolce e deciso il viso di lei, che guardò muto per qualche secondo.
Lei lo sentì quello sguardo. Fermo, a frugarle dentro. Pochi secondi, nei quali scoprì un sorriso che si nascondeva ben rintanato nel viso di lui che la stava fissando. Capì che quel sorriso nascosto aveva motori profondi che in quel momento stavano girando a pieno regime; che quell'uomo aveva qualcosa di forte e misterioso, a volte disperato e angosciante, altre sublime e gioioso, che si rifletteva nei lineamenti del viso. Non sapeva cosa fossero questi motori, cosa producessero e da dove venissero; sapeva che altre persone, così, non le conosceva. Un po' disincantata, si disse anche che presto avrebbe scoperto che in realtà le cose non stavano così, ma che era stata una illusione momentanea, che quel prete era come chiunque altro; ma si cullò nell'idea che non fosse così, che finalmente avesse trovato una persona veramente curiosa.
Mentre entrarono in caffetteria lui stesso si sentì indossare un sorriso; era tempo che non succedeva. Intorno, le porcellane ed i vassoi nelle vetrinette di legno; le luci illuminavano il verde che caratterizzava l'intero ambiente, alto, nobile. Un banco bar con una scala a chiocciola per raggiungere una balconata, due salette con eleganti poltrone foderate di tela, alle pareti le stoviglie dei nobili esposte raggiungevano il soffitto. Un posto sicuramente originale dove prendere un caffè; la luce soffusa, l'ombra e la frescura dell'ambiente facevano il resto rendendo semplice e piacevole la conversazione.
L'aveva cominciata lei dicendo che no, non si era mai confessata davanti ad un caffè e pasticcini. Lui aveva assunto un finto atteggiamento grave, minacciandola come prete, e lo sottolineò, di penitenze molto gravi in base ai peccati commessi, pur nell'ambito della professione svolta di psicologa, facendo cadere l'accento sulla qualifica, per giocare un po' con le loro finzioni.
"Sì, non sono una psicologa. O forse lo sono, non so bene; ho studiato a Padova psicologia, ho dato l'esame per l'abilitazione della professione quindi ecco, tecnicamente, sono una psicologa. Ma ciò che faccio non rientra nell'ambito delle normali pratiche psicoterapeutiche. Io regalo gioia alle persone consentendo di dare sfogo alle loro passioni, quelle che altri chiamano 'perversioni'.
Intendiamoci: niente sesso. Non vendo il mio corpo, non lo lascio toccare, se non quando lo voglio. Ci sono molte di queste passioni che non vengono accettate dalla morale comune, o dal perbenismo, o comunque sono difficili da mettere in pratica; io aiuto le persone ad incontrarsi con sè stesse, a fare i conti con ciò che vogliono veramente, le aiuto ad ottenerlo; e questo spesso le cambia."
Stretta nel suo abito ricercato sentiva sè stessa dire queste parole in quell'ambiente raffinato ad una persona che le stava sentendo con interesse; si sentì, per un attimo e intensamente, felice come era da parecchio che non capitava. Un po' temeva la reazione di lui ora che s'era scoperta, ma un sorriso le stava illuminando il viso e lei sapeva bene quale potenza potesse rappresentare su un uomo. Lui aveva tenuto gli occhi su di lei mentre parlava; ora erano bassi, così lei chinò un po' la testa e lo guardò di sottecchi, con gli occhi a voler esprimere un punto interrogativo.
Lui sentì il piccolo movimento della sua testa; alzò lo sguardo e vide quel sorriso e quegli occhi che chiedevano una risposta.
Chiese:
"Hai detto che le persone cambiano, quando stanno con te. Come cambiano?"
Lo chiese rimanendo molto serio ma con una speranza così forte nel viso che sembrava un bambino in un negozio di giocattoli.
"Come cambiano? Cos'è che le cambia? Come ci si accorge che cambiano? In quanto tempo?". Lei subito capì che quel finto prete la sapeva molto lunga sull'argomento; lui aveva capito perfettamente il tipo di lavoro e la sua posizione, non aveva fatto alcuna obiezione su questo passandoci sopra velocemente, ed il centro della sua attenzione era proprio la stessa che la teneva ancorata a quel tipo di attività, ovvero la potenza di trasformazione che le sue pratiche potevano avere sulle persone, le enormi forze scatenate nell'uomo nel cercare ciò che da dentro emerge come domanda a cui si deve dare una risposta, o a cui non la si dà, pagando con nevrosi e depressioni questa censura di una parte di sè.
Era una vera esperta dell'argomento e stava trovando una sponda ai pensieri più profondi che il suo tipo di vita le provocava; per cui decise di testare il terreno, ponendogli una delle domande alle quali meno riusciva a darsi risposta.
"I miei clienti sono quasi tutti maschi. Si, ho anche qualche donna, o qualche coppia; la femmina è interessata quasi esclusivamente al masochismo però. Ma la normalità è che sia il maschio a rivolgersi a me; sembra che tutte le cosidette perversioni raggiungano solo il sesso maschile. Se fossero dei veri bisogni innati nelle persone raggiungerebbero sia i maschi che le femmine, in pari modo. Invece tutti gli studi condotti sull'argomento, l'ultimo dell'università di Bologna, a cui ho partecipato nella tesi, dimostrano che sono i maschi quelli più soggetti a 'perversioni' e quindi miei potenziali clienti. Non sembra strano?"
Finita la domanda, lei attese con il cuore in gola, molte volte aveva posto la domanda quando si trovava davanti qualcuno che supponeva in grado di rispondere; ma non era mai stata soddisfatta. Si stava chiedendo se stesse spingendo troppo avanti la discussione con una persona incontrata da poco a cui stava rivelando domande forti che si poneva da sempre e temeva di ricevere una delusione, o di metterlo troppo in difficoltà, o di aver comunque fatto qualcosa che avrebbe rotto la magica curiosità che si stava stabilendo tra loro.
Si diede della pazza. Perchè parlare di questo? Aveva sempre tenuto nascosto a sconosciuti il suo mestiere. Perchè aprirsi ad un prete, vero o, peggio che mai, falso? Perchè rischiare con le sue domande più difficili? e poi, come avrebbe proseguito? Con le altre domande, quelle che facevano ancora più male, quelle che la giudicavano come donna? E poi che ne può sapere costui?
Lui la guardò, rasserenato. Un po' come quando il suo allievo gli poneva una domanda a scuola con gli occhi sgranati dalla voglia di sapere. Dovette trattenersi dall'essere didattico, dal dover esporre le premesse, le tesi e le eventuali conclusioni che aveva in mente; stava prendendo il caffè con una donna graziosa, non era a lezione. Capiva che lei si stava esponendo; che questa donna intelligente aveva trovato quello che considerava un interlocutore qualificato per condividere domande forti.
Del resto, quelle stesse domande, se le era poste anche lui, parecchie volte, nelle diverse vite che aveva svolto in questa esistenza e nei lampi di quelle passate che a volte gli apparivano. In un istante tornò alla mente la visione con la donna col fiore, ma questa volta i vestiti erano diversi, o non c'erano; ricordò il decumano minore che avevano attraversato, si vide lì in mezzo alla folla che andava a teatro, rivolto verso il sole al tramonto nell'inoltrata primavera, e poi come in una sequenza velocizzata la terra che ricopre il decumano di un metro o poco più, la costruzione della basilica di san Solutore alla sua sinistra e poi ancora, oltre la basilica, il battistero di San Giovanni, e ancora oltre la chiesa di santa Maria, e poi il battistero che diventa basilica, l'unione delle tre chiese, il chiostro che viene costruito esattamente nella sua posizione, sopra il decumano, e poi i portici che uniscono le tre chiese in questo ambiente unico e collegato, i passaggi tra loro e... doveva fermarsi, doveva rispondere ma ancora gli veniva in mente l'organo, l'organo grande in comune tra san Solutore e san Giovanni, che serviva entrambe le chiese e ancora la danza del fiore che si mescola con le canne dell'organo portandolo in un crescendo di sensazioni che avrebbe voluto coltivare.. quelle visioni questa volta erano veramente uniche, e coerenti, e non gli facevano male, come se quella donna avesse tolto un tappo a pensieri compressi.
Lei vide i suoi occhi persi e penso eh, si, questo è suonato, ho sbagliato tutto.
Lui cominciò a parlare; con un tono basso, quasi sottovoce, quasi scusandosi per quanto stava dicendo. Non alzava mai la voce, ma con gli occhi sottolineava i passaggi più forti, con le mani sembrava presentare le conclusioni che sarebbero servite per continuare il ragionamento. Parlò parecchio; non ne era abituato e ogni tanto doveva bere un sorso d'acqua. Parlava affondando gli occhi nei suoi; ci si agganciava, come a voler sperare da lei una condivisione, o almeno una comprensione, di quanto stava dicendo.
Lei se lo beveva. A grandi sorsi, come una che ha sete da una vita e trova una sorgente abbondante e fresca. Lo stava a sentire, lo capiva perfettamente, era inondata da lui, dalle cose che stava dicendo e che stavano fecondando la sua vita. Non comprendeva proprio tutto; ma dallo sguardo inchiodato al suo riceveva la certezza che quell'uomo sapeva di cosa stava parlando e che se non oggi, domani, o un giorno, avrebbe capito. E le risultò chiaro che il capire non fosse, infine, indispensabile; ciò che voleva era vivere ciò che quell'uomo le stava dicendo, ben al di là di quello che l'intelletto può capire.
Ed ecco, dopo più di un paio d'ore nella caffetteria ed una passeggiata a 'porta fibellona', come diceva lui, cioè in piazza Castello e nei dintorni, si ritrovava ora a passeggiare con lui.
Passando proprio all'imbocco di via Garibaldi con Piazza Castello una persona che chiacchierava animatamente con un'altra li notò; si bloccò e lasciò lo sguardo fisso su di loro per qualche secondo; per troppo tempo.
Lei diede uno sguardo distratto a quell'uomo un po' sudaticcio in giacca e cravatta.
Lui invece lo guardò con uno sguardo perplesso.
Lei notò la sua perplessità, lui notò che anche lei aveva sottolineato con lo sguardo quell'incontro.
Lui chiese "lo conosci, quello che ci ha guardati?"
Lei rispose con uno sguardo un po' perplesso: "no, mai visto. Tu?"
"Io sì.. è il padre di una mia ex allieva."
L'uomo che li aveva fissati era stupito, più degli altri, di quello che stava vedendo. Un prete in abito talare sottobraccio ad una donnaccia così! Poi: quel prete... quella donna... Fu sopraffatto da un desiderio di giustizia.
Istintivamente accarezzò il tatuaggio della X MAS sulla spalla, sotto la giacca, pensando: provvederò io.
(scritti precedenti: vedi album Kruegg )
[Confessionale nella chiesa della Beata Vergine Incoronata, Sabbioneta]
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