Krueger

i ruggiti dell'anima

di Leo Altoriso

19 - L'alba del caos

Dal giorno della Sacra s'era instaurata un complicità in più tra Verdiana e Krueger.

Lui sempre più consapevole delle potenzialità di lei e dei tesori che il suo mestiere poteva rivelargli, lei conquistata dal suo intelletto e dalla profondità degli argomenti che le presentava con leggerezza, quasi fossero banalità a tutti chiare.

Si era chiesta spesso come doveva essere lui nel sesso; sembrava conoscere tutto di tutti, anche del suo mestiere, ma si mostrava quasi indifeso di fronte alla potenza di alcuni concetti, o oggetti, o immagini simboliche che molto avevano a che fare con il suo mestiere. Avrebbe voluto prenderlo per mano e accompagnarlo, fargli assaporare le profondità dei desideri degli uomini. Lei le conosceva così bene, le sfruttava per ottenere il massimo sia in termini economici che di soddisfazione personale, ma mai le era successo di volere così tanto poter mettere a disposizione le sue conoscenze ad un uomo.

Nella calda estate, tra un caffè ed una chiacchierata, cercò di fare breccia in quel cuore che sembrava così impenetrabile; usò gli argomenti che meglio conosceva sfruttando i momenti in cui qualche debolezza aveva lasciato supporre una qualche soluzione di continuità nel muro di sicurezze che quell'uomo presentava. Aveva notato, più di una volta, che di fronte ad una scarpa o ad indumenti femminili lo sguardo di Krueger si era soffermato più di un istante; se fosse stata un'altra persona le avrebbe suggerito di trovarsi di fronte ad un feticista o ad un desiderio di travestimento, per quanto nascosti.

Conosceva i metodi per stanare questi desideri dal cuore degli uomini, anche se con lui si rendeva conto di avere meno armi a disposizione; tutta la sicurezza e forza di cui era capace, che con gli altri uomini diventavano il grimaldello con cui penetrare nel loro cuore, qui si infrangevano subito nella forza calma che lui gli opponeva. Dimostrava di conoscere, eccome, tutto ciò di cui lei si occupava, tanto da chiedersi da dove avesse attinto tutte quelle conoscenze; quindi tentò una via indiretta per sondarne la penetrabilità.

"Mi è piaciuta molto la gita alla Sacra.. quante cose mi hai detto, quante ne sai! Stare con te lassù a parlare è stato dolce e interessante; poi con il tuo abito talare mi sembrava ancora più intrigante! Una specie di divisa che ti rende altero, forte, un uomo.. interessante! Solo in un momento hai perso un po' dell'equilibrio ineffabile di cui ti circondi " - gli disse con un sorriso - " quando ho messo la scarpa sul banco, mi sei sembrato.. vacillare un po', è vero?"

Lui non rispose, ma la guardò grato, con uno sguardo intenso, come se avesse intuito le sue intenzioni.

"Vai avanti"

Lei si pentì subito di aver parlato.. si era scoperta troppo! Quattro parole e lui subito l'aveva scoperta! 'Vai avanti'... cioè ho capito quello che vuoi dire, ora esponiti di più.

Verdiana arrossi un po', ma ormai la frittata era fatta e non poteva tirarsi indietro, altrimenti tutta la sua intenzione di penetrare nel suo cuore sarebbe miseramente naufragata; non tentò più seconde vie, proseguì più sicura.

"A volte vedo che dai uno sguardo ai miei armadi; oh, non è un fastidio, anzi, in qualche modo mi fa piacere che tu venga a curiosare nei miei segreti. Per me gli abiti, sia quelli espressamente da lavoro che quelli che non lo sembrano, sono qualcosa di molto importante e sapere che i tuoi occhi e le tue mani passano loro vicino mi da un senso di intima gioia."

Lui incassò l'affermazione con uno sguardo sicuro, consapevole; sapeva bene che se ne sarebbe accorta.

"Quella persona che ho visto uscire l'altro giorno, quello che ti faceva le pulizie... mi è sembrato avere una atteggiamento conosciuto, familiare."

"Sono desideri a cui tu sei sensibile?"

"Verdiana, come hai capito io sono sensibile a tutte quelle che vengono chiamate perversioni, a queste potenze libidiche che scatenano tempeste negli uomini; mi affascinano e le voglio conoscere, e tu sei una delle persone che più mi intrigano per le cose che sai."

Lei voleva rispondere "ma solo per quello ti affascino?" Si morse la lingua e non lo disse.

Invece le chiese "Ti interessano le sissy maid?"

Lui la guardò interrogativo.

"Prima mi hai chiesto di quello che faceva le pulizie. Lui e altri miei clienti sono quelle che vengono chiamate 'sissy maid', uomini che vengono vestiti in abiti femminili, spesso umiliati verbalmente e costretti a lavori come le pulizie di casa; a loro piace molto, è una delle 'specialità' del mio lavoro, ed è una di quelle più complesse. Non basta mettergli un abitino di latex, una parrucca ed un po' di rossetto; l'aspetto psicologico con loro è di una importanza fondamentale, la differenza tra il loro godimento e lo scadimento in una vergognosa pratica senza senso è veramente sottile. E' uno di quei casi in cui la mia laurea in psicologia serve a qualcosa; va sempre conservato e esaltato l'aspetto di dominanza, loro fanno tutto ciò per la loro padrona, questo dà loro soddisfazione e un grande senso di libertà, per quanto possa sembrare assurdo."

"Tu pratichi la femminizzazione degli uomini?"

"Certo, anche se non è facile individuare le giuste persone con cui veramente valga la pena farlo perchè ne traggano il massimo della 'liberazione' e non complessi di colpa e di vergogna infiniti."

"Anche quella persona che ho visto? E perchè mi è sembrato un atteggiamento familiare?"

Oddio oddio oddio e lui che mi fa le domande! Lui a me! quantomintriga quantomintriga! Ma sono mai stata così bene? Nondevoarrossire staicalma staicalma rispondipiano.

Lui si stupì della calma con quale lei gli rispondeva, così certa e tranquilla.

Quella voce bassa e suadente, che aveva cominciato a conoscere; anche lei parlando dei propri argomenti, come lui quando spiegava, assumeva un atteggiamento docente, sicuro.

"Certo, anche quell'uomo, si trova molto bene con me; da mesi andiamo avanti. Non è stato facile all'inizio liberarlo dai sensi di colpa e dalla vergogna, ma poi ci è riuscito benissimo e quando esce da me se ne va trasformato, placato. E' un uomo dai tremendi conflitti interiori; sembra calmo esteriormente, nasconde dietro un atteggiamento forzatamente pacato e un po' ossequioso le tempeste che gli si abbattono sui propri sentimenti"

"E perchè mi sembra di conoscerne l'atteggiamento?"

"Allarme rosso" - pensò Verdiana - "Mai, assolutamente mai, in nessun caso far trasparire informazioni sulle identità dei clienti".

Per questo attaccò direttamente per sviare il discorso

"Forse perchè vorresti essere come lui? Forse perchè ti riconosci?"

Lei lo disse con un sorriso, ma la serietà del viso di Krueger indicava l'intensità con cui stava vagliando quella possibilità.

"No, non credo. C'è qualcos'altro."

Lei spinse ancora per deviare il discorso.

"Sai uno dei problemi con queste persone non ci crederai ma sono... le taglie! Sai che vuol dire trovare tacchi a spillo numero 44? Abitini in latex per uomini di 120 chili? Un delirio!"

Risero insieme, e allontanarono il discorso; Verdiana ne fu molto sollevata.

Aveva rischiato troppo.

Krueger se ne andò meditabondo guardando il cielo che cominciava ad annuvolarsi; tornando verso l'istituto ebbe una stranissima sensazione, un profumo, un odore che gli si ripercosse per tutta la colonna vertebrale a risvegliare tutti i punti nevralgici, come se le vertebre componessero una dolcissima frusta velenosa a sferzare l'aria di pioggia, ed il sibilo sottile diventasse il suo respiro.

Odore di carta e incenso.

No, non è possibile, si disse, non può essere. Mi sbaglio.

Visualizzò un elastico, grande come un braccio, teso allo spasimo; fissata all'estremità una pietra più grande di lui che gli si avvicinava a velocità infinita. Chiuse gli occhi per attutire il colpo; li riaprì respirando affannosamente.

Guardò il cielo, cercò segni, fiutò l'aria per sentire la presenza di quel dio che stava cercando di redimere.

Non può essere.

Non puoi farlo, gli disse, non puoi farlo.

Non in questa vita.

Non ora.

Era una delle mattine che adorava; le cinque e mezza del mattino d'estate con il temporale che rombava in cielo. Correva veloce sotto i portici e l'aria umida e carica di elettricità gli dava forza. Lo sapeva che sarebbe successo qualcosa, stava allenando i pensieri per riceverlo, per fare in modo che la botta non lo potesse sorprendere; aveva bisogno di tutte le sue capacità mentali, di tutte le sue conoscenze.

Eppure non succedeva nulla; già erano passate più di dodici ore da quando aveva sentito quell'odore di carta e incenso e nulla di notevole lo aveva colpito.

Dai televisori accesi nei bar si disperdevano notizie estive; cosa fare contro la calura, quanti gradi qui e quanti là, il governo pigro si prepara per le ferie, traffico sulle strade, traffico sulle autostrade, traffico a livello locale, una strada chiusa per lavori, un'altra bloccata per il recupero di un mezzo incidentato.

Nulla da segnalare, insomma.

Tornò in istituto piacevolmente stanco, sudato, e sul mercato in corso Palestro incrociò Minah.

Avrebbe voluto dirle molte cose; dopo l'incontro che gli valse l'accusa di pedofilia avrebbe voluto parlarle per chiarire, scusarsi, spiegare o comunque cercare di farlo; ma non c'era stata occasione.

Lei gli corse incontro: "Ciao! Ma lo sai che stai bene vestito da sportivo?"

Lo disse con un sorriso così grande e dolce che gli fu chiaro che lei, invece, non aveva remore per quell'incontro; anzi ne propose un altro:

"Quand'è che possiamo vederci? Ho tante cose da chiederti, su quanto è successo e sull'organo! Mi hai detto delle cose che non riesco a dimenticare, che non posso dimenticare. Ti prego vediamoci, vorrei tanto parlarne."

"Quando finisci, se vuoi, vieni in istituto, la mattina ce l'ho libera"

"Perfetto, tanto qui ho quasi finito, devo solo scaricare e mettere a posto, poi posso venire. Facciamo verso le nove?"

"Sarà questo l'elastico? Sarà attraverso di lei che mi si abbatterà in testa?"

I pensieri di Kruger divagavano durante la recita delle lodi, il Salmo 89:

Ai tuoi occhi, mille anni

sono come il giorno di ieri che è passato,

come un turno di veglia nella notte.

Li annienti: li sommergi nel sonno;

sono come l'erba che germoglia al mattino:

al mattino fiorisce, germoglia,

alla sera è falciata e dissecca.

Perché siamo distrutti dalla tua ira,

siamo atterriti dal tuo furore.

Davanti a te poni le nostre colpe,

i nostri peccati occulti alla luce del tuo volto.

Tutti i nostri giorni svaniscono per la tua ira,

finiamo i nostri anni come un soffio.

Si trovò a pensare all'espressione "L'ira di dio", e al termine iraddiddio tutto attaccato per indicare un qualcosa di tremendo.

Un'iraddiddio, l'iraddiddio.

E per questo si recò all'appuntamento con lei con la testa china, pronto al colpo che si sarebbe abbattuto su di lui.

Lei, invece era giocosa e allegra, lontanissima dai suoi pensieri.

"Kruger vieni, usciamo, un caffè sotto, al tavolino, al bar, non in queste stanze che sanno di muffa."

"Ma abbiamo argomenti seri da affrontare"

"Che non si possono raccontare al sole? Dai, vieni, così dò un'occhiata al banco."

Così scesero insieme e la sua allegria lo contagiò, mise da parte i malumori e diventò anche lui allegro e chiacchierino in pochi minuti.

"Kruger, mi hai detto che tu sei l'organo e che tu sei me. Secondo logica o sei pazzo o sei pazzo, uno dei due. Ma ci deve essere una spiegazione in mezzo, tra le pieghe della logica; è troppo forte la sensazione che ho provato mentre me lo stavi dicendo. Inoltre... quando le tue mani erano su di me..."

Lui arrossì, vistosamente.

"Perdonami Minah, io non so..."

"Perdonarti! Per una delle cose più belle che ho sentito in vita mia! Lo so, sembra una cosa abominevole, il vecchio prete e la ragazzina... roba da cronaca di quart'ordine per un gossip piccante.

Io mi sono sentita... vera, ecco, l'unica cosa che posso dire di quel sentimento di pienezza che mi ha conquistata mentre mi parlavi. Ed il tuo gesto non è stato nulla di più che una conseguenza; le parole sono state il veicolo che mi ha portato in alto, il gesto invece è stato quasi un sollievo, un tornare un po' giù da quelle altezze immense in cui volavo. Sentire le tue mani come fossero le mie, io, in realtà, Krueger, pensavo proprio di essere io a muoverle, era il mio pensiero che ti stava attraversando, era come se fossimo un pensiero unico in due corpi. Ecco, sì: un pensiero unico in due corpi, uniti nel gesto. Una gioia! Una gioia così non l'avevo mai provata!"

Annaspò, cercò aria, Kruger.

La visione, quella visione che l'aveva abitato per molto tempo, ora tornava forte, di una luce accecante; non sapeva come, ma nella visione era stato nella terra con quella donna dagli occhi nocciola e poi era salito su, in alto, a splendere, e la cosa più forte era proprio quello che Minah aveva detto, un pensiero solo in due corpi... c'era da impazzirne.

Pensava ai suoi studi, al rebis alchemico ermafrodita, all'unione del maschile e del femminile.

Se di qui doveva passare l'elastico che gli si stava abbattendo addosso, pensò, sarebbero stati dolori; e non solo per questa vita, si andava ben oltre.

Lei si chiese perchè un pensiero così bello non provocasse una reazione positiva, un sorriso.

Lui se ne accorse e si rese conto che tutta la negatività che stava provando era solo univocamente dovuta al fatto che pensava che questo famoso elastico gli si sarebbe dovuto ritorcere contro, ma questo era solo un pensiero, non c'era nessuna prova, nessuna evidenza che dovesse essere così. Lei aveva provato qualcosa di unico e di grande, qualcosa che lui conosceva bene, e aveva la prova di averci visto giusto fin dal primo giorno, quando l'aveva vista con le scarpe troppo grosse in san Filippo a guardare verso l'organo.

Organo che gli aveva parlato; quale altra prova voleva ancora? Perchè mai continuare con questo atteggiamento di paura, di difesa?

Si lasciò andare, sorrise, tornò ad essere il Kruger che infonde tranquilla serenità in tutti.

"Minah, hai avuto un'esperienza grande; io sono solo stato un tramite, attraverso di me hai rivissuto qualcosa che ti appartiene, o meglio, che appartiene all'umanità. E' l'unione dei corpi nell'androginia del paradiso perduto, la condizione primordiale prima che le cose fossero; il rebis alchemico."

"Eh? Krueger che dici? Alchimia?"

Lui si rese conto di aver aperto la bocca senza usare il cervello. Come poteva pretendere che anni di studi potessero essere racchiusi in una frase e che la capisse una ragazzina ventenne? Sorrise.

"Si... vecchie storie, cose del passato."

"Tu sembri sapere molte cose. Io dell'alchimia so che è quella che ha precorso la chimica, e che voleva creare la pietra filosofale per trasformare i metalli in oro."

"E' tutto esatto, Minah."

"E come ti può interessare questa roba? E cosa c'entra con noi e con quello che ti ho detto?"

Krueger si accorse di non poter più tornare indietro.

"Sei sicura di voler stare a sentire? E' una storia lunga, noiosa e difficile."

A Minah brillarono gli occhi "Le mie storie preferite! Racconta!"

Kruger assunse l'espressione che utilizzava per spiegare ai suoi allievi, raccogliendo tutte le forze per riuscire a spiegare concetti in modo semplice, alla portata dell'interlocutore.

Ma fu interrotto dopo poche parole; dall'altra parte della via stava passando il preside, gli sguardi si incrociarono e non potè fare a meno di salutarlo. Si scambiarono un saluto per quanto possibile cordiale e Krueger si scusò con Minah, attraversò la strada e scambiò due parole con lui.

Il preside portava in mano alcuni abiti appena ritirati da una tintoria; erano abiti da donna, spiccava un tailleur viola in mezzo ad altri abiti.

"In giro per commissioni signor Preside?"

"Si, sono venute a trovarmi le mie due sorelle con la famiglia, approfittiamo spesso delle vacanze per vederci."

Poi, indicando con lo sguardo gli abiti:

"Faccio qualche commissione per loro."

Il preside, ricordando la necessità di tenere buoni rapporti con i professori per svolgere al meglio il suo lavoro, proseguì:

"Anzi, senta Krueger; perchè non ceniamo questa sera insieme? Mi farebbe piacere farle conoscere la mia famiglia."

Krueger rispose che sì, volentieri avrebbe partecipato ad una sera insieme, anche se non era esattamente in cima alle sue aspettative come serata.

Dopo questo breve dialogo, tornò al tavolino con Minah.

"Dicevamo... ecco, l'alchimia. E' un argomento interessantissimo, per chiunque voglia spingersi un po' oltre le banalità; rappresenta la vetta delle conoscenze dell'uomo, quanto di più alto l'intelletto umano abbia conosciuto."

"Come? L'alchimia? Ma se c'era nel medioevo... oggi ne sappiamo molto di più di allora!"

"No, Minah, non ne sappiamo di più di allora dell'uomo. Ne sappiamo di più, o pensiamo di saperne di più, dei fenomeni fisici, ma ne sappiamo molto di meno dell'uomo.

Cercherò di essere breve, magari approfondiremmo un'altra volta.

Il concetto di base è questo: nei tempi preistorici l'uomo viveva prevalentemente di istinto; l'intelletto era poco sviluppato. Passando il tempo si è sempre di più sviluppato l'intelletto mentre l'inconscio, l'istinto, è sempre stato più fortemente relegato nelle profondità dell'uomo. Mi segui?"

"Certo."

"In queste profondità esiste un collegamento tra tutti gli uomini; una specie di rete che collega tutte le persone del mondo, che la psicologia del profondo chiama 'inconscio collettivo'; quindi ogni uomo ha una parte conscia e una inconscia che pesca nelle profondità in questa 'zona comune'.

Nell'epoca in cui fiorì l'alchimia il livello del conscio era meno sviluppato rispetto ad ora, quindi la parte istintiva era più forte. Quando gli alchimisti utilizzavano i loro intrugli..."

"Code di rospo, pipì di bambino fritta e lingue di acciughe in salmì?"

"Bravissima, proprio quelle cose che ci sono giunte in quel modo! Quando le utilizzavano erano una specie di catalizzatore che provocava nel loro inconscio uno stato di cose che metteva l'alchimista in una condizione particolare. Per dirla in modo moderno, la sostanza 'proiettava' nell'inconscio dell'alchimista un modo di essere. Ci sei?"

"Oh, si. Interessante."

"Ed è proprio per questo che le ricette alchemiche sono così diverse l'una dall'altra e i componenti hanno nomi strani e incongrui: perchè erano quei componenti che in quell'alchimista, e in quel momento, provocavano un certo modo di essere. Valevano solo nel suo caso."

"Quindi non era il miscuglio in sè ad essere importante?"

"No, per nulla, lo stesso miscuglio per un'altra persona o in un altro tempo sarebbe stato inutile; era importante lo stato psichico indotto nell'alchimista; ed è proprio per questo che secoli di tentativi di replicare le 'ricette' per costruire la pietra filosofale non hanno avuto, e non potevano avere, effetto. Ancora nel 1900 Meyrink in Germania si definiva alchimista e diceva di aver prodotto la pietra filosofale."

"Ma quindi l'alchimia provoca uno stato mentale?"

"E' difficile risponderti a questa domanda. Sarebbe troppo semplice dirti di sì; non è così. Per quei tempi in cui la commistione tra natura e persona, tra inconscio e materia era molto più forte, la domanda posta così non avrebbe senso. Certo, oggi l'alchimia sarebbe impossibile perchè abbiamo perso tutto il mare dell'inconscio a favore dell'intelletto. Dal 1600 in poi con lo sviluppo della scienza l'alchimia non poteva più sopravvivere e, in effetti, è morta diventando lo zimbello degli scienziati. Quindi per risponderti, sì, l'alchimia provocava uno stato mentale e, insieme, modificazioni materiali.

Per questo alcuni rituali, procedure, metodi, avevano efficacia.

Ci sono cose che cambiano le cose, e cose che cambiano le persone; la verginità della materia e dell'uomo, allora, consentiva ciò che oggi non è più possibile. Nell'alchimia è conservato il segreto di una operazione sulla materia che cambia le persone."

"Come le cambia?"

"Le rende felici."

"E questa la pietra filosofale?"

Krueger aprì il viso ad un sorriso bambino, e non rispose.

"E io? E te? Cosa c'entriamo?"

Decise di dirglielo.

"Alcuni rituali richiedono che insieme ci siano una donna e un uomo. A volte mi appaiono in mente alcune visioni di questi rituali; da quando ti ho conosciuta mi hai ricordato la donna che mi accompagna."

"Io? Una ragazzina?"

"Ricordati della connessione comune tra tutte le persone; sia quelle già vissute che quelle che verranno, sia nell'età che hai ora che in quelle precedenti e future."

"E l'organo? Che c'entra l'organo?"

"Oh, questa invece è alchimia anche dei giorni nostri... Ma per ora, ti resterà la curiosità. Ma non temere, te ne parlerò."

Krueger sapeva di aver detto troppo; sapeva anche di aver tenuto per troppo tempo tra i propri pensieri questi segreti. In questa fase della vita due donne, Verdiana e Minah, lo stavano provocando ad essere meno solo, a parlare con loro di tutte quelle cose che mai aveva detto ad alcuno. Forse avrebbe anche rivelato loro chi era, cos'era, prima di fingersi sacerdote. Non ora.

Dopo aver salutato Minah, si sentiva meglio; s'era tolto un peso. La ragazza non poteva avere capito; però aveva ascoltato, attenta. I pensieri avrebbero germogliato.

Gli vennero in mente tutte le volte che l'aveva vista, tutte le parole che si erano detti, dall'organo di San Filippo fino a quel fondersi insieme in quel caldo pomeriggio... sensazioni forti.

Non gli importava dell'accusa di pedofilia: si sarebbe scoperto presto che la ragazza delle foto non era Lorenza, la figlia di Destefani, ma Minah.

Tuttavia non poteva certo chiederle di testimoniare; avrebbe dovuto dire di essere stata nelle mani di un sacerdote, questo era inammissibile, Krueger non avrebbe mai voluto sottoporla a quella umiliazione. Per di più chissà che ne avrebbe detto la stampa, il preside, il buon nome dell'istituzione... il sacerdote professore che approfitta di giovani ragazze! Avrebbe chiuso la scuola.

No, non poteva chiederle nulla del genere.

L'unica soluzione sarebbe stata la confessione di Lorenza; ma non poteva parlarle, il vice ispettore era stato chiaro, ad indagini in corso rischiava di compromettere definitivamente la sua posizione se le avesse parlato.

Quell'Alviero Destefani però... perchè l'aveva denunciato? Cosa l'aveva mosso, che bisogno c'era? Non riusciva a darsi una spiegazione.

La sera si presentò all'appuntamento con il preside e la sua famiglia; Krueger ci andò controvoglia, ultimamente la frequentazione con quella persona non produceva molta allegria, anzi.

Invece la sera fu piacevole; il preside aveva due sorelle, una nubile e un'altra sposata con famiglia al seguito: marito e due figli adolescenti, maschio e femmina, con i quali si divertì parecchio a prendere in giro gli argomenti scolastici di italiano e storia, come faceva con i suoi allievi.

A scuola spesso, per far ragionar i suoi allievi, faceva in questo modo: prima spiegava per bene un argomento, e si assicurava che l'avessero capito. Poi si metteva dalla parte opposta, deridendo e demolendo l'argomento, e chiedendo ai ragazzi invece di difenderlo in base a quanto avevano appreso.

Si divertiva moltissimo a farlo, e anche i ragazzi ne avevano piacere: discussioni interminabili, spesso proseguite al di fuori delle lezioni, in cui Krueger demoliva ciò che aveva appena spiegato, per vedere come avrebbero reagito i freschi cervelli dei suoi allievi.

A volte incorreva in guai; deridendo il Manzoni per la sua 'bella immortal benefica fede ai trionfi avvezza' del 5 maggio si spinse un po' troppo in là, demolendo l'atteggiamento fideistico del poeta e mettendo in crisi la classe con una professione di distanza da quel tipo di fede. Non aveva sufficientemente fatto i conti con la giovane età dei ragazzi; quando se ne accorse rimediò, riportando la spiegazione classica.

Ciò che non sapeva, e che non poteva rimediare, era che nel corridoio fuori dalla classe il preside sentiva e... scuoteva la testa.

Con i nipoti del preside non corse questo rischio, e si divertì alle spalle dei maggiori poeti italiani, riportandone curiosità, vezzi e stranezze che non conoscevano e che sarebbero stati utili durante le interrogazioni.

Le sorelle erano persone interessanti; la minore, Maddalena, era quella sposata, bionda e spigliata, un peperino tuttofare che guidava a menadito sia i figli che il marito. La maggiore, Ingrid, nera corvina di capelli crespi, di una intelligenza spiccata e pronta, lasciava intuire un animo teso e sensibile, una vita sull'orlo tra ciò che è bene fare e ciò che, sicuramente, è meglio evitare.

A fine pasto venne proposto un liquore, quando chiesero a Ingrid se ne volesse rispose allegra 'certamente!' e la sorella sospirò sottovoce 'basta che non sia birra...' scambiando uno sguardo complice con suo marito e con il preside, ma facendosi sentire chiaramente anche da Krueger.

Uscendo dal locale, Krueger e il preside chiacchierarono; Krueger lodò la bella famiglia e la pronta intelligenza delle sorelle, mentre il preside si sentì in dovere di spiegare quella strana affermazione sulla birra.

"Vede, mia sorella Ingrid è epilettica; sembra che la birra, soprattutto la birra rossa, sia un fattore scatenante; non mi chieda perchè, non lo sappiamo. Abbiamo inoltre notato nel tempo che anche il ciclo sembra essere uno di questi fattori; ogni attacco che ha avuto è avvenuto durante il ciclo. Inoltre... beh son cose di donne... ma a lei lo posso dire... ha un ciclo molto regolare, e corrisponde con la luna piena".

Krueger rimase colpito dal livello di confidenza che aveva assunto la conversazione.

Alzò gli occhi al cielo.

"Stassera è proprio piena, guardi che luna."

"Proprio per questo c'è stata quella battuta a cena, scuserà mia sorella Maddalena, è preoccupata. Anche perchè stassera Ingrid vuole uscire a fare due passi da sola"

"Ma si figuri preside, non c'è problema, non c'è nulla da scusarsi. Ingrid è adulta... penso sia abituata a passeggiare da sola"

"Si certo... ma sa com'è. Comunque, buonanotte. Lei viene in istituto?"

"No, faccio ancora quattro passi" disse Krueger, che aveva una gran voglia di passare qualche tempo tranquillo nell'appartamento di Verdiana, sul terrazzino a guardare la luna.

"Va bene, buonanotte."

Nel pomeriggio seguente Krueger girovagava per il centro di Torino per schiarirsi le idee; i soliti notiziari fluivano dai televisori accesi nei bar: meteo, traffico, una strada bloccata...

Ancora? Strade bloccate? era la variante della statale 24, all'altezza di Pianezza, a pochi chilometri da Torino.

Sbirciando il televisore vide una folla che s'era radunata intorno al blocco; una grande autogru in mezzo alla strada stava sollevando qualcosa.

Entrò in un bar in piazza Statuto, prese un'acqua tonica, e si mise davanti al televisore per soddisfare la propria curiosità.

Alla vista delle prime immagini, intuite le prime parole, percepì nettamente, distintamente, una ad una le gocce di sudore freddo che scendevano sulla spina dorsale.

Il suo corpo se n'era accorto prima che la mente capisse.

Ad ogni parola dello speaker aumentava la differenza di temperatura tra il suo corpo bollente e il sudore ghiacciato che a gocce gli rigava la schiena; le sentiva graffiare.

A mano a mano che la notizia si faceva più chiara si ripropose limpida l'immagine della frusta; afferrato dalla testa come un burattino sentiva la schiena vibrare nell'aria, a volte schioccare proprio come una frusta, provocandogli un dolore indicibile.

Si sforzò di non tremare; non ci riuscì.

Una ragazza con i capelli rossi ed un sorriso simpatico si preoccupò per lui, gli appoggiò una mano sul braccio e gli chiese 'tutto bene?'

Ritirò la mano subito; Krueger era caldissimo, gli occhi si erano quasi rimpiccioliti, la sofferenza era palese.

Guardò la ragazza negli occhi; le indicò il monitor.

Lei rispose 'Sì, è da stamattina; strano vero?"

Su quella strada, a qualche centinaio di metri dalla tangenziale, ci sono due distributori gemelli; uno verso est, l'altro verso ovest.

Accanto a quello ad ovest si vedeva un mezzo pesante, anzi pesantissimo, carico delle bobine di acciaio delle fonderie; ma non era sulla strada; era nel campo, ad una trentina di metri dal distributore.

Le ruote affondavano nel terreno, il peso le aveva quasi tutte interrate.

La cosa strana, impossibile, era che non c'era alcun segno dell'uscita del mezzo dalla strada; i guardrail erano intatti, non c'era alcuna traccia di ruote intorno, nel campo; era come se qualcuno avesse preso il mezzo, l'avesse sollevato e spostato di qualche decina di metri, appoggiandolo al suolo. Le gru cercavano di sgravare il carico, ma la distanza era notevole, il peso enorme, non si riusciva a liberarlo.

Riproponevano l'intervista all'autista; era un rumeno che conosceva bene l'italiano.

Raccontava di essersi fermato nella notte nell'area di sosta per dormire, prima di partire per la Polonia. Si era addormentato che era nell'ara di sosta, si era svegliato all'alba che era in mezzo al campo.

Null'altro: non aveva sentito, visto, udito, nulla, non s'era accorto di niente.

L'ultima cosa che ricordava era l'insistente abbaiare dei cani nelle cascine vicine, prima che il sonno lo vincesse.

No, ne aggiunse un'altra: c'era uno strano odore, di carta e incenso.

La vicenda aveva fatto presto il giro dei notiziari e ora rimbalzava da una rete all'altra; nessuno riusciva a dare spiegazioni.

Uscì dal bar, le tempie pulsavano come martelli.

Qualcuno aveva scatenato l'ira di dio.

Nella visione cristiana, dio redime l'uomo. In quella alchemica, l'uomo redime dio.

Tutti gli studi, i ricordi, le ore passate a leggere di rituali e formule gli si avventarono contro.

Gli venne un pensiero vile: dimenticare, non dire nulla, neanche a sè stesso. Tacere, ammutolirsi, andarsene, fare come se nulla fosse stato.

Poi pensò e Verdiana? E Minah? Queste donne mi sono venute incontro, non posso lasciarle.

Ma chi poteva aver fatto una cosa del genere? Lui era certo che nessuno sapesse, in quest'epoca; era una delle poche sicurezze che gli aveva lasciato ciò che l'aveva bruciato: nessuno saprà. Ora invece aveva la certezza che qualcuno in questo tempo sapeva, e se c'era qualcuno in quelle condizioni lui non poteva sottrarsi al confronto.

Aveva smesso le vesti dell'alchimista ormai da parecchio; era più che convinto che fosse inutile in questi tempi, fuori luogo. Ma di fronte a questo che poteva fare? Dimenticarsi di tutto? Abiurare? Nascondersi?

Ora era chiaro cosa fosse l'elastico, e quanto grande fosse il masso che gli stava piombando addosso.

Invidiò le persone di fede; almeno loro un dio da pregare ce l'avevano. Lui, invece, doveva domarlo.

Gli telefonò il preside: venga subito, venga subito padre Krueger. Un grave problema.

Cos'altro può essere successo si chiese; aveva già così tante cose da pensare per preoccuparsi di qualche altra banalità del preside.

Quando arrivò in istituto era ancora alterato; in presidenza c'erano il preside e l'ispettore di polizia che lo salutò e vedendolo in quello stato lo guardò in modo molto, molto, strano.

"Che succede? Ancora per l'inchiesta sulla presunta pedofilia?" Chiese Krueger.

"Sì, è per quello, ci sono sviluppi"

Krueger era furente; aveva ben altro a cui pensare.

"Non ne voglio più sentir parlare! presto si chiarirà tutto!"

Si accorse che il preside era pallido, molto pallido.

Parlò il vice questore:

"Padre Krueger, le chiedo di non lasciare la città nei prossimi giorni"

"Oh bella! E perchè mai?"

"Lei conosce Alviero Destefani vero?"

"Sì certo"

"E' morto!" urlò il preside, quasi piangendo.

"E' stato ucciso" proseguì il vice questore.

"E io che c'entro?" Chiese Krueger, sbalordito.

Il vice questore sospirò, poi parlò come chi ne ha viste tante:

"Ce lo dirà, padre Krueger. Ce lo dirà".

[ Acquapendente - cripta della basilica di san Secondo ]

C'è la pagina Facebook di Krueger, e il romanzo si può approfondire e comprare su krueger.losero.net.