Krueger

i ruggiti dell'anima

di Leo Altoriso

15 - L'inconfessabile

La Cacia, die dominico 10 iulii anno domini 1491

"Gaspardo, dobbiamo parlare, ma ora è tardi e domani dobbiamo essere presto alla fabbrica" Bernardino de Antrino parlava alla luce delle lampade nei tavoli dell'osteria "Il Leon D'oro" della Cacia; si capiva che era il capo della spedizione con i suoi sette compagni di viaggio e di lavoro. "Ci sono molte cose che hai visto e che vorrei conoscere; devi farmi capire anche perchè tu non lavori più alla fabbrica del Duomo"

Gaspardo abbassò gli occhi: "Certe cose fanno male."

"Si, lo so che possono fare male ma non temere: tanto è il male che possono fare quanto il bene che ne riceverai. Tu sei andato in profondità nel rito, questo è importante, tu hai visto cose che, come dici, cambiano le persone, e hanno cambiato te, sei rimasto bruciato da quello che hai visto. Penso se ne siano accorte anche le persone che ti vivono intorno."

Dicendolo, Bernardino guardò Maria.

Lei, rimasta in disparte per tutto il tempo, pendeva dalle sue labbra; ora vedersi puntare gli occhi addosso e ricevere l'attenzione di tutti la lasciò senza respiro.

Le ci volle un attimo a capire cosa le era stato chiesto; capì anche che aveva l'occasione di dimostrare di non essere solo una povera contadinotta, ma di avere intelligenza e sensibilità.

"Si, è vero. Da qualche giorno Gaz è... assente, sempre pensieroso. Da quando ha lasciato la fabbrica lo vedo spesso con lo sguardo perso, immusonito, a pensare chissà cosa. Ogni tanto me ne parla, ma dice cose che penso di non essere in grado di capire" - abbassò la voce - " sono terrorizzata dal fatto che qualcuno possa sentirlo... da qualche tempo bastano poche parole per finire sul rogo."

"O annegati, se sei fortunato!" Era stato Sandrino a parlare - "Ieri a Foresto ci hanno detto che ne hanno bruciati cinque; eretici accusati da un folle, un nevrotico, che s'è autoaccusato anche lui. Per riconoscergli uno sconto di pena per aver fatto da accusatore gli hanno concesso di essere annegato, anzichè bruciato."

"Si, l'abbiamo sentito, " - riprese a voce bassa Gaspardo - " insieme alle dodici che hanno bruciato a Lanzo.. e anche voi avete sentito stassera, il parroco... e se non sono i parroci sono i nostri bravi signorotti locali a mandarci sul rogo, oppure assistiamo a belle baruffe tra il duca e il vescovo su chi ha diritto di bruciarci per primo.

Con le cose che ho visto potrai capire.. che non è facile vivere in serenità; bei tempi quanto tutto era chiaro e l'ordine delle cose stabilito da sempre. Ora sembra che tutto cambi... e io non ho abbastanza intelligenza per tenere tutto qui dentro"

E si indicò la testa con l'indice, e pensò a quanto aveva ragione Maria nel dire che fosse strano, assente; ricordava quante volte lei gli dicesse "dai, fammi ridere, divertiamoci, sii leggero come prima", lui ci provava ma... certe cose, come l'allegria, non possono essere forzate; se lo sono nascono malate e muoiono in fretta.

Gaspardo guardava Maria, seduta lì vicino a Stefano; capiva quello che le mancava, capiva quel suo bisogno di leggerezza e di allegria al posto dei suoi musi lunghi, dei suoi pensieri di profondità che neanche lui stesso riusciva a sondare. Lo sentiva fino alle lacrime, con il cuore spaccato tra quello che avrebbe voluto darle e le forze ingovernabili di quello che si ritrovava a sentire dopo essersi esposto a misteri così sconosciuti. Ciò che più gli stringeva il cuore era di provare un amore così forte eppure non essere in grado di darle ciò che cercava, nonostante che anche lui volesse quella stessa gioia e leggerezza che cercava lei ed il suo stato di melancolia non fosse affatto una scelta, ma un abisso del cuore in cui era precipitato senza colpa alcuna, una situazione dalla quale era impossibile uscire.

Aveva provato a parlarle; lei sentiva così astrusi quegli argomenti, così inutili e distanti dal vivere comune, che si stufava presto di seguirne i ragionamenti. Voleva semplicemente vivere dolcemente, ridere, gioire della vita, in quel modo così spontaneo e contagioso che sapeva esprimere. Quand'era l'ultima volta che l'aveva vista così? Qualche giorno prima, quando Stefano l'aveva portata a fare una cavalcata.... Lui era stalliere alla Mandria, s'erano incontrati e avevano fatto una corsa a cavallo insieme. Erano tornati, lei era ancora rossa in viso, così raggiante, così felice, così bella... così la voleva Gaspardo, e si promise che avrebbe fatto di tutto per farle ritornare in viso quello splendore.

"Oste... dove si dorme qui?" La notte era ormai inoltrata, e Bernardino cominciava a preoccuparsi per i compagni "Non siamo al Leon d'Oro, dove si dorme nel letto?" L'oste rispose che aveva solo sei letti disponibili, e gli altri si sarebbero dovuti accontentare di dormire sui sacchi, per terra. "Ok, allora dovresti cambiare nome alla locanda!"

Si riferiva alla cosidetta cabala fonetica; era allora parecchio in uso, ma non tutti la riconoscevano. La taverna chiamata "al leone d'oro" che inalberava come stemma un leone araldico si sarebbe chiamata "Au lion d'or" che suonava più o meno in francese come "au lit on dort", cioè letteralmente "si dorme nel letto". Oppure l'insegna con una O e una grande K tagliata da un tratto: l'ubriacone non si sbagliava traducendo "au gran cabaret" (au gran ka barré). Spiegò il gioco di parole a tutti, e Maria una volta di più si sentì pendere dalle sue labbra.

I misteri che attanagliavano la mente di Gaspardo erano troppo forti per farli tacere; doveva in qualche modo trovare il tempo per parlare ancora con quegli uomini che sembravano saperne qualcosa.

"Bernardino, se vuoi domani posso accompagnarvi io alla fabbrica; conosco sentieri sicuri. Avrai visto che in valle di Susa i francesi quando passano fanno razzie... rischieresti di incontrarne qualcuno. Passiamo invece da Druento... al limite troviamo qualcuno che bisticcia per il canale, o qualcuno dei ribaldi, ma la strada è più sicura. Durante il viaggio potremo parlare; ci vogliono un paio d'ore per arrivare alla fabbrica."

Accettarono di buon grado, e si diedero appuntamento all'alba del giorno successivo, per partire insieme verso Torino.

La mattina attraversarono la foresta e i campi di buon'ora; trovarono molte persone che lavoravano intorno al naviglio. Non era ancora finito, ma nei quarant'anni precedenti ne era stata costruita una buona parte e grazie ad esso i campi di Druento cominciavano a rendere, anche se di continuo c'erano piccoli furti d'acqua; chi aveva i campi vicini al naviglio non poteva sopportare facilmente di perdere il raccolto, cercava di derivare per sè un poco di quella abbondante acqua che arrivava dalla Stura di Lanzo attraversando la foresta della Mandria.

L'argomento che più interessava era il rito; quando Gaspardo parlava tutti tacevano. Più volte si fermarono con la scusa di far mangiare o abbeverare la mula che avevano con sè e che si erano portati da Roma, ma in realtà era per meglio sentire, per fare domande, per chiedere di più; Gaspardo si sentiva al centro dell'attenzione di queste otto persone che venerava come i più grandi costruttori di cattedrali.

Gli otto poi coglievano l'occasione per ripetere tra loro cose che forse s'erano già detti in dialoghi personali, ma condividendole in quella piccola comunità le portavano a fattor comune mettendole in condizione di essere integrate, ampliate, corrette perchè tutti conoscessero meglio lo stato delle cose.

Si parlava di misteri, di cose innominabili, che sarebbero costate l'accusa di eresia a chiunque; per questo ne tacevano di fronte ai contadini che incontravano, per riprendere appena li si era passati e salutati.

Bartolomeo Delli Charri, che la sera era stato il più silenzioso e riservato, sembrava ora essere il più prolisso.

"Quello che hai visto del rito, Gaspardo, mi interessa perchè ha molto a che fare con il mio lavoro. Oggi ho scelto i marmi a Foresto per scolpire quella che sarà la porta in cornu evangelii, la sinistra. Come sai, noi non siamo pagati dalla Chiesa, ma direttamente dal cardinale Della Rovere; ha voluto commissionarci un lavoro delicato, preciso, definito nei minimi termini. Questo lavoro si inserisce però in un progetto più grande; l'architetto del Duomo ci ha contattati separatamente, per darci anche lui alcune indicazioni e... non sono le stesse. Cioè quello che io andrò a scolpire, il portale sinistro, risente direttamente delle indicazioni del Cardinale. Quello destro, quello in cornu epistolae, invece, a quelle dell'architetto che ha preso le decisioni insieme a Bernardino, ed è ciò di cui ti parlava ieri sera. Sarà in quello che raccoglieremo l'eredità delle tre chiese e la sapienza che contenevano"

Berardino prese la parola:

"Meo, tutti ti siamo debitori. Hai voluto tu accollarti questo peso; lo sappiamo che il Cardinale ti ha ordinato cose che preferiresti forse non scolpire, ma l'hai fatto lo stesso perchè tutti noi potessimo completare l'opera. Te ne saremo debitori per sempre"

"Non scherzare. Lo sai che ho qualcosa da farmi perdonare."

"Non puoi sentirti in colpa all'infinito per qualcosa che non potevi impedire..."

"Ehi ehi ehi" - disse Gaspardo - "Non ci capisco nulla!! E che c'entro io?"

"C'entri eccome... Gaz"

Tutti risero, sentendolo chiamare col nomigliolo che gli dava sua moglie.

"Non vedo proprio come possa c'entrare qualcosa io! E poi, perchè non parlate solo dei portali laterali? E quello centrale? E la facciata?"

Riprese Bernardino "Purtroppo nelle parti più grandi possiamo modificare poco, sono troppo visibili; è il committente che paga. Casse intere d'argento arrivate da Vinovo, le hai viste? per cui l'architetto ha fatto esattamente il volere del Cardinale, e noi quello dell'architetto.

Ci sono richieste da non crederci... pensa Gaspardo: dovremo scolpire per tre volte, grande, nella facciata, il nome del Cardinale, con in evidenza il titolo di San Clemente! Ma s'era mai vista una cosa del genere? E' così pieno di sè quell'uomo che non gli basta avere che so, una targa, un'iscrizione, un riferimento come in tutte le cattedrali, no: vuole il suo nome scolpito tre volte grande. E poi anche con il titolo di San Clemente, che è un titolo tutto romano.. che c'entra con Torino?

"Trimegisto" , disse Meo, con lo sguardo cupo e voce profonda e forte, "Tre volte grande. Per questo lo vuole." Tutti sentirono quelle parole, che caddero come pietre sui loro pensieri; tranne che per Gaspardo per le quali non volevano dire nulla.

"Ermete Trimegisto" riprese Meo guardando Gaspardo - "cioè il tre volte grande, è il fondatore mitico di tutti i misteri della Scienza Sacra, padre di tutti i filosofi e gli alchimisti. Il Cardinale ha qualche... aspirazione verso la Scienza Sacra, pensa di essere giunto ad un livello di trasformazioni alchemiche come nessun altro, e vuole che il Duomo ne sia la voce che ne parlerà nei secoli narrando le sue gesta: per questo vuole essere scritto tre volte grande"

"Cioè voi dite che scolpirete tre volte il suo nome sulla facciata, in grande? Su un edificio sacro verrà scritto il nome di colui che ci ha messo le casse d'argento per costruirlo?? Ma è... immorale, è ignobile! Opere di fede dovrebbero testimoniare la grandezza di una cattedrale, non soldi! Voi siete i maestri Comacini, i costruttori di cattedrali! Non lo farete!"

Gli otto si guardarono l'un l'altro. Un mastro muratore di un piccolo paesino di campagna li stava riprendendo sul senso più grande delle loro opere. Tutti aspettarono che fosse Bernardino a parlare.

"Già ti ho detto, Gaspardo, che per me atterrare quelle tre chiese non ha senso; sei mastro muratore, e sai che con tutti quei soldi si sarebbe potuto fare ben altro; dare loro forza e fare sopravvivere al tempo questa insula episcopalis, questo insieme di tre chiese, il campanile del Compey e quello tra san Giovanni e il Solutore, il chiostro del Paradiso, la Sapienza, il battistero dentro a San Giovanni e il mosaico in san Solutore; un insieme fantastico, un'opera unica. Noi abbiamo girato l'Italia e l'Europa e ti dico: non c'è nulla di più grande, Torino ha costruito la sapienza pietra su pietra, dai romani fino ad oggi. Ora questo Cardinale, ricco di famiglia e venuto nei favori di papa Sisto IV, vuole lasciare un segno di sè e una eredità per la sua discendenza; vedrai, i successori sulla cattedra saranno della sua famiglia e godranno delle rendite per secoli. Non è una cattiva persona, ha un buon gusto per l'arte e si circonda di artisti bravissimi; ma ciò che vuole è far avanzare il suo nome. Per questo lascerà un segno indelebile in Torino abbattendo tutto, rasando al suolo mille e più anni di storia, facendo un bel piazzale ed innalzando un Duomo Nuovo splendente di marmi, che gli costruiremo noi. Non possiamo opporci alla potenza del Cardinale. Possiamo però lavorare in modo che i segni restino; nei disegni dell'architetto e nei marmi rimarrà molto del messaggio che le tre chiese volevano passare ai secoli.

Certo, la prima cosa che si vedrà sarà quello che vuole il Cardinale: ho già ricevuto le iscrizioni da fare alla moda romana, saranno tre scritte DO-RVVERE-CAR-S-CLE, ovvero Domenico della Rovere Cardinale dell'Ordine di San Clemente; ma per chi saprà leggere, faremo in modo che ci sia dietro all'aspetto superficiale ben altro"

Intervenne Gaspardo:

"E io? Cosa c'entra il rito che ho visto?"

Fu ancora Meo Delli Charri a rispondere, con la sua voce profonda:

"Quello che tu hai visto è un rito di trasmutazione alchemica. Anzi, è 'il' rito, l'opera, l'opus; l'alchimista con la sua soror mystica , la sua compagna di spirito, lo stavano compiendo. A quanto pare quell'alchimista, quel Crugherius, è molto avanti; non c'è segreto più grande di questo, e quando tu ci dirai com'è andato ne sapremo di più e potremo lasciare dei segni più forti."

"Io? Quello che so? Quello che ho visto alla Sapienza e in san Giovanni? Cioè quello che ho visto potrebbe cambiare i vostri piani di costruzione?"

Riprese Bernardino:

"Si, in qualche modo sì, certo. Come t'ha detto Meo il portale in cornu evangeli è dettato direttamente dal Cardinale, mentre quello in cornu epistolae è nostro, o meglio, lo scolpiamo noi per l'architetto, con cui siamo pienamente d'accordo".

"E chi è l'architetto? Meo del Caprina? o quel Baccio Pontelli? o il Bramante?"

Li interruppe Meo Delli Charri, con un gesto che a sorpresa mise tutti in silenzio.

"Forse è presto perchè tu lo sappia, ma visto che sei stato bruciato da quello che hai visto, è bene che tu conosca la storia del perchè sia io a scolpire quel portale. Fermiamoci un attimo alla fonte a far bere la mula, te ne parlerò"

Lo disse ben sapendo che anche i suoi compagni di viaggio erano curiosi di sapere; ne aveva fatto qualche cenno, ma non si era mai spiegato del tutto. Per questo videro di buon grado quella sosta nella mattina nelle campagne di Druento; il Naviglio passava placido vicino a loro ad irrigare i campi portando frescura.

"Bartolomeo Delli Charri parla a me" - pensava Gaspardo, che non riusciva a capacitarsi di avere avuto così tanta fortuna.

Bartolomeo, o Meo, sedette comodo, e cominciò.

"Saranno passati più o meno otto anni, o forse più; ero a Roma a lavorare per il cardinale, sì, sempre lui, Domenico della Rovere. Era appena succeduto al fratello Cristoforo a Castel sant'Angelo e mi aveva commissionato delle acquasantiere e altri lavori per Santa Maria del Popolo e per il palazzo dei Penitenzieri, dove voleva andare ad abitare. Era consigliere personale di Sisto IV, cioè di Francesco della Rovere che, come già sai, ha in comune solo il cognome; era diventato suo 'nipote' per modo di dire, per acquisire nobiltà al suo casato e soprattutto perchè Domenico aveva molti soldi.

Sisto IV aveva molti nipoti; almeno 6. Li si chiamava così per modo di dire; in realtà erano quasi tutti suoi figli. Gli ultimi due si dice li abbia avuti da sua sorella; tra questi Pietro Riario, quello che volle fortemente la rovinosa guerra con Firenze che mise sul lastrico le finanze dello stato pontificio. Per risanarle aveva emanato la tassa sulle prostitute, che potevano guadagnarsi il regno dei cieli con un obolo, poi quella sui preti che volevano scaldarsi il letto con una donna, quindi ancora quella per far passare le anime dal purgatorio al paradiso... un innovatore, a suo modo, nel fare finanza creativa.

Stavo esaminando dei marmi in quello che sarebbe diventato il palazzo dei Penitenzieri, quando nella stanza accanto si incontrarono il cardinale e il papa, e io li ho sentiti distintamente parlare; mentre loro non immaginavano che io fossi presente.

Le voci sul fatto che il papa avesse a corte fanciulli di cui lodava il corpo era abbastanza diffusa; di uno di questi ragazzi stavano parlando, ma quando sentii le parole mi spaventai a morte: si stavano chiedendo se fosse morto o meno, e una terza persona disse di sì.

Alla domanda se fosse successo esattamente nel momento giusto, la risposta fu affermativa.

Il papa e il cardinale si guardarono negli occhi; erano pieni di sofferenza, ma il papa disse: ora abbiamo il terzo elemento. Disse proprio così: il terzo elemento.

Il cardinale rispose che comunque era una cosa giusta, perchè questo avrebbe fatto cessare l'ira di dio che avevano scatenato; perchè solo con due elementi il miscuglio era estremente instabile, e già aveva fatto crollare un campanile.

Così disse: due elementi lo rendevano instabile, tre lo fissavano, il quarto sarebbe stato il compimento dell'opera, che avrebbe generato la quint'essenza e, quindi, l'elisir.

Non so come fosse possibile ma vedevo in quei due uomini una sofferenza infinita e, insieme, i segni di una cupidigia senza fondo; sembravano contorcersi tra pensieri opposti.

Io ero spaventato, mi spostai un poco facendo rumore; se ne accorsero subito e mi trovarono.

Subito mi minacciarono di morte per quello che avevo sentito; ma il Cardinale fu molto buono, disse a tutti lasciate perdere, ci penso io; non dirà mai niente a nessuno.

Il giorno dopo mi convocò nel suo palazzo, spiegandomi cos'era il terzo elemento, e che stava cercando il quarto, e di quale serie facevano parte questi elementi.

Mi disse tutto.

Mi fece giurare di non dirlo a nessuno e di scolpire la storia della loro ricerca su una chiesa che aveva in mente di costruire a Torino, barattando la mia vita e quella dei mie familiari con il silenzio su ciò che avevo sentito".

"E qual era la serie degli elementi?" Chiese Gaspardo.

"Non posso dirlo, questo, lo porterò nella tomba, non dirò mai quali sono" - rispose Meo - "ma ora sapete perchè nel portale in cornu evangelii, nelle sculture dei marmi, per tre volte, a tre livelli diversi, leggerete il nome del Cardinale: quella scritta segnerà dove segnerò i tre elementi; e tutti, nei secoli a venire, potranno farlo e conoscere quali sono i tre elementi e trovare il segreto che li unisce per trovare il quarto, e quindi l'opera completa."

Ripresero a camminare verso Torino.

Quando furono nei grandi prati della Madonna di Campagna, Meo e Gaz si trovarono in coda alla piccola comitiva; Meo lo prese in disparte, e glidisse:

"Ho detto che non parlerò del segreto della serie degli elementi. Non voglio farlo con i miei compagni, ne ho buoni motivi. Ma non voglio morire senza che nessuno lo sappia.

Gaspardo sentimi.

Questo è il modo per avere gli elementi; ricordalo sempre.

Per ottenere il primo elemento devi prendere una donna che..."

Rimasero a parlare fitto per cinque minuti; quando arrivarono alla porta segusina, Bartolomeo Delli Charri sorrideva, aveva l'aspetto di un uomo che s'era liberato di un peso.

Gaspardo quello di uno che se l'era caricato.

Il suo pensiero unico era: "come farò con questa conoscenza nell'animo a far ridere ancora Maria? a giocare con Mantina? E dove riuscirò a mettere in un posto che mi sopravviva gli elementi necessari all'opera?"

Da lontano, cominciarono ad apparire le impalcature della fabbrica: i lavori erano avanzati e Gaspardo cominciava ad intuire le forme de Duomo Nuovo; pensò ai marmi che sarebbero stati scolpiti, al messaggio che questi otto uomini fantastici avrebbero lasciato.

Vide nella mente le singole sculture, le forme, il luccichio dei marmi, il senso grande che avrebbero avuto, l'illuminazione che avrebbero portato a tante anime; cos'era, infine, il terribile mistero che gli aveva rivelato Meo, se non lo specchio della dolcezza infinita che per secoli i marmi avrebbero trasmesso scolpendolo?

Mentre stava pensando che gli avevano chiesto di abbellire il portale di Rocca Provana, la roccaforte vicina a casa sua, pensò che avrebbe scolpito visibili a tutti, ma invisibili ai profani, gli elementi dell'opera sul suo portale; pensandoli uno a uno, improvvisamente, capì il senso di quell'elenco.

Meo se ne accorse dall'incontenibile sorriso di meraviglia che risplendeva sul volto di Gaspardo; non gli disse nulla; gli strizzò un occhiolino.

Si salutarono abbracciandosi, incapaci di proferir parola; due uomini rudi e forti, un mastro scalpellino ed un mastro muratore.

A guardarli bene in quel mattino d'estate, sui visi spuntava una lacrima a testa.

A guardare bene nella mente di Gaspardo, un nuovo portale stava nascendo in rocca Provana per riflettere quello che Meo avrebbe scolpito sul Duomo di Torino; ma mentre quello avrebbe avuto i tre elementi, questo sarebbe stato completo, con tutti e quattro gli elementi.

A gloria dei secoli futuri, per fare la cosa una.

[Particolare dei fregi marmorei del Duomo di Torino, portale sinistro, in cornu evangelii]

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