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11 - causa, caso e caos

Quello era il giorno libero da lezioni, e dover proprio incontrare il preside quella mattina per la storia della pedofilia lo aveva già messo di cattivo umore.

Il giorno libero serviva ad altro, le sue abitudini erano diverse; doveva servire ad esplorare, conoscere, studiare; non per risolvere problemi noiosi. Proprio per questo aveva scelto il mercoledì, giorno dell'intelligenza e della comunicazione, di Mercurio e di San Luca e dell'arancione, del celeste e dei colori fluo. Sembrava sprecato doverlo spendere per affrontare quella situazione.

E' vero, c'erano le foto; e quello nelle foto era lui, e quella nelle foto era una ragazza, e l'atteggiamento era esplicitamente sessuale; inequivocabile. Ma perchè quelle foto erano finite sulla scrivania del preside? E chi poteva averlo denunciato, e perchè?

La corsa del mattino fu utile per mettere in riga i pensieri; ma nessuna illuminazione arrivò ad aggiungere nuovi elementi, nuovi punti di vista. L'unica cosa che l'inconscio sembrava suggerirgli riguardava il luogo dell'incontro previsto: perchè la sala colloqui? Con il preside aveva sempre parlato in presidenza, nel suo ufficio; per quell'incontro invece gli aveva dato appuntamento nella sala colloqui.

L'inconscio lo allertava, ma non capiva perchè.

Era una sala ampia, con un tavolo al centro e sedie sui lati, situata sull'angolo dello stabile e con finestre su due lati; normalmente i docenti e parenti utilizzavano una zona del grande tavolo avvicinando le sedie per avere un colloquio riservato. La stessa sala veniva utilizzata per le riunioni dei docenti.

A fianco di questa ce n'era una più piccola, un disimpegno con armadi e credenze, che aveva un accesso autonomo e si apriva sia verso la sala dei colloqui che, dalla parte opposta, verso la mensa dei sacerdoti; quindi erano allineate e intercomunicanti la sala dei colloqui, il disimpegno, e la mensa; ognuna con accesso proprio, ognuna accessibile anche dal disimpegno.

Il preside era già lì ad attenderlo; sul tavolo quella che riconobbe come la busta con le foto, davanti a lui un'agenda ed una penna stilografica.

Nonostante gli anni il preside aveva conservato una capigliatura di colore corvino, che si apriva in una calvizie rada concentrata al centro del cranio; gli occhi piccoli, da topo, gli occhiali spessi, le labbra sottili, il fisico magro e asciutto, gli incisivi piccoli, ben allineati e prominenti sul mento quasi assente suggerivano un'impressione di metodica malcelata avarizia, di un mondo chiuso in quattro pensieri ben custoditi ed inattaccabili.

Il preside Donald Guerrini utilizzava il proprio nome inglese per suggerire frequentazioni internazionali di circoli filosofici esclusivi; si era inserito in specifiche mailing list e spesso, durante le riunioni, disponeva ben ordinate al suo fianco le stampe delle email ricevute, delle quali non parlava mai; una sola volta, interrogato sull'argomento da un docente più coraggioso degli altri, rispose che quelle email gli erano di ispirazione per condurre le riunioni in modo sobrio ed equilibrato.

Questa volta, non aveva alcune di queste stampe; solo le foto, e l'agenda.

"Buongiorno padre Krueger; la ringrazio della disponibilità."

Prese le foto e le distribuì sul grande tavolo.

"Non ce n'era bisogno, le ho viste" - pensò Krueger.

"Padre Krueger, nelle foto il suo atteggiamento è chiaro e non può essere soggetto a fraintendimenti; l'accusa avrà buon gioco. Sulle foto è stampata anche l'ora: 14:27"

Le foto ritraevano tutte lo stesso soggetto. Il fotografo doveva averle riprese con un teleobiettivo, da lunga distanza; riprendevano l'interno di una stanza dalla porta di un balconcino.

Per prima cosa si vedevano le inferriate della ringhiera; lo conosceva molto bene quel locale, era nell'associazione culturale in piazza IV marzo, la porta-finestra di fronte a via Porta Palatina.

Le porte erano spalancate e mostravano l'interno, in basso, appoggiata ad una di loro uno zaino giallo, rosso e blu.

Più indietro quello che sembrava uno strano essere a quattro zampe ed una testa ma che, ingrandito più volte in diverse stampe, faceva vedere ben altro.

Si riconosceva Krueger in abito talare, seduto su una sedia, con il corpo di una ragazza in canottierina seduta su una gamba di lui; inequivocabilmente, una mano di Krueger compiva un gesto dall'indubbio scopo sessuale affondando tra le gambe della ragazza.

Riprese il preside, grave:

"Non mi di lungherò oltre sulla gravità che la questione ha assunto per la nostra scuola; le dico solo che la denuncia ha avuto corso e che la polizia ha avviato alcuni accertamenti. Sia la mia persona, come preside, sia il direttore della scuola sono stati personalmente contattati sia dagli organi giudiziari che da quelli investigativi. Si chiederà perchè non è stato contattato lei direttamente: la risposta è semplice, per ora si ritiene di non coinvolgerla personalmente perchè non potrebbe forse sopportare " - aggrottò le ciglia in una espressione grave - " il peso di una denuncia che sicuramente la vedrebbe colpevole; assumerne invece il peso sulla scuola consentirebbe di, diciamo così, distribuirne la gravità su una istituzione che sarebbe meglio in grado di sopportarla sia per quanto riguarda le modalità di risposta sia per quanto riguarda eventuali oneri finanziari per la difesa che, come sa, potrebbero giungere a cifre notevoli."

Distese il viso in un sorriso comprensivo:

"Le farà piacere sapere di quanto sia io che il direttore teniamo alla sua persona, assumendo sulle nostre spalle questa incresciosa situazione, per consentirle di analizzare con calma, di chiarire, di esprimersi. Tutti sappiamo che solo nel sacramento della confessione, nella grazia del perdono divino troverà la pace che cerca; per ora questa istituzione cerca solo di proteggerla dalla tempesta che potrebbe gravarle addosso."

Si era dimenticato di respirare. Era passata almeno una decina di secondi da quando il preside aveva terminato la frase, e l'unica cosa di cui Krueger ebbe certezza immediata era questo: si era dimenticato di respirare. Tendeva a non arrabbiarsi mai per le cose della vita; sapeva quanto fosse inutile farlo.

Ma questa volta!

L'enormità delle parole del preside lo stava schiacciando: non solo lo avevano già condannato senza aver sentito da lui una parola, ma pure offrivano la propria pelosa copertura, e quella dell'istituto che dirigevano, ad un eventuale fatto criminoso, per il buon nome della scuola! Ben sapendo che, in quel modo, lo avrebbero ricattato per il resto della vita, avrebbe dovuto per sempre restituire quel 'favore'.

Livido nel cuore, quando si accorse di non aver più respirato per troppo tempo avidamente inspirò aria nei polmoni; troppo avidamente, ne uscì una specie di rantolo rumoroso, un singulto eccessivo del quale pensò "non è per niente elegante" e si stupì di questo pensiero così distaccato in un momento così importante.

Il preside, preso a commozione e con la bocca a cuoricino, in un sussulto di fratellanza gli disse "su, non faccia così, non pianga, la aiuteremo noi...",

Krueger si alzò, fuor di controllo; se avesse avuto un lanciafiamme al posto degli occhi avrebbe incenerito il preside in un lampo.

Così, come gli era mancata l'aria, capì che dalla rabbia stava perdendo il lume della ragione; spostò gli occhi fuori dalla finestra, li posò sui tigli di corso Palestro. Sapeva che in certi momenti solo la natura poteva dargli sollievo; e anche quella volta fu così.

Sapeva benissimo che veniva giudicato "un po' strano", perchè a volte si perdeva in lunghi silenzi e non rispondeva subito; questo fu uno di quelli. Si spostò alla finestra, scorse i tigli uno a uno. Verso via Garibaldi ce n'era uno più scuro degli altri; lo riconosceva, era sempre il primo a fiorire in primavera, una settimana prima degli altri; ed ora era quello più carico di verde. Forse una vena d'acqua sotterranea, forse un'inclinazione della luce tra i palazzi più favorevole; chissà cos'altro, ma il pensiero di quello strano fenomeno lo riportò ad una realtà più grande di quei piccoli occhi da topo, sui quali tornò con lo sguardo sereno.

Il preside si accorse dell'enorme errore commesso; fraintendere un segno di debolezza con uno di rabbia. Quando gli occhi di Krueger ritornarono su di lui fu atterrito dalla loro serenità. Cercò di riprendere il discorso sull'aiuto dell'istituzione per sopportare il gravante peso ecc ecc, ma ogni parola fu spazzata via da una frase di Krueger:

"Voglio essere messo a confronto con la ragazza"

"Certo... questo chiarirebbe molto" - disse il preside - "ma, essendo minorenne, il confronto non può avvenire".

Riprese con gli occhi sempre più puntuti: "Comunque lei mi dica, mi spieghi, come possa essere avvenuto un fatto del genere, mi faccia capire, potrei aiutarla.

E' importante che lei mi dica qualcosa, perchè presto, forse domani, il vice ispettore Pantani sarà qui e dovremo dirgli qualcosa".

"Preside, mi concede una pausa di una ventina di minuti?".

"Certamente, rifletta pure con calma, poi mi dirà tutto".

Uscì a far due passi, all'ombra dei tigli di corso Palestro, tra i banchi del mercato; si fermò in un caffè.

Molte cose non quadravano; per questo fu necessario e, dopo tempo che non lo faceva più, ripensò a quel giorno, a quando furono scattate quelle foto.

Erano i primi giorni in cui il caldo illude di primavera il creato; le porte del balconcino potevano restare aperte.

Utilizzava i locali dell'associazione per dare ripetizioni a chi non poteva permettersele; gli piaceva quel lavoro, all'oscuro di tutto e di tutti, fatto per una associazione che in realtà si occupava di vendere prodotti delle missioni sudafricane. Presto s'era sparsa la voce dell'efficacia e della qualità delle sue lezioni, così molti genitori mandavano da lui i ragazzi che, per pochi soldi, potevano avere ripetizioni di qualità.

Lui rigirava il denaro all'associazione, ne riceveva stima e sorrisi.

Quel giorno era capitato un buco di un'ora, tra le due e le tre del pomeriggio, perchè gli avevano chiesto di anticipare una lezione; per questo aveva invitato Minah, la ragazza dell'organo, a fare quattro chiacchiere con lui; si trovavano spesso, lui trovava adorabile la fresca intelligenza di quella ragazza e la delicatezza con la quale accennava solo di rado all'organo e a quello che era successo in san Filippo; se lo faceva, era solo per cercare di portare più avanti il mistero di quell'organo... troppo umano, quell'organo dalle cui canne erano uscite voci umane, quel rapporto così intimo che s'era creato tra lei e l'organo, quella specie di innamoramento tra la persona e la materia in cui Krueger giocava un ruolo che non le era chiaro.

Aveva spesso associato Krueger all'organo, alla sua voce; ma era troppo indurito e vecchio, secondo Minah, il sacerdote per essere 'quella' voce dell'organo.

Ricordò che aveva appena congedato l'adolescente della lezione precedente quando si affacciò al balcone e la vide arrivare, quasi di corsa, carica del suo sorriso e con le sue scarpe grige e larghe, troppo larghe, saltando tra una pozzanghera e l'altra con la gonna troppo corta che sventolava sbarazzina; il primo temporale dell'anno aveva appena allagato le strade. Quando arrivò le sorrise subito e notò che le scarpe erano diventate nere: quant'acqua pensò, avrà i piedi bagnati, la invitò a toglierle ma lei rispose che no, erano solo bagnate fuori, non c'era problema.

Lei quel giorno lo interrogò sull'organo; aveva deciso che voleva saperne di più. E quella volta lui disse qualche parola in più.

"Minah, ci sono confini, tra le persone e la materia, non così ben definiti come noi pensiamo di solito. Avvengono a volte degli... spostamenti in cui le cose non sono come le conosci. In tutte le culture, ad esempio, sono riconosciuti i concetti di tempo sacro e spazio sacro, si tratta di spazi e tempi in cui non valgono più le 'normali' leggi delle cose così come le conosci.

Come capita per esempio in sogno: in pochi minuti puoi vivere spazi temporali che durano molto di più, puoi essere in tempi diversi in posti diversi e la coerenza spaziotemporale va a farsi benedire. Allo stesso modo ci sono cose non soggette alle leggi fisiche: sapere di chi ti innamori, o quale gusto del gelato ti piace, per esempio, sono totalmente al di là della scienza così come la conosciamo.

A volte mi hai parlato delle tue parole con l'organo e di quello che ti ha detto; mi hai riportato conversazioni lunghissime, quando io sapevo che eri stata lì pochi minuti, capisci? Eri in uno spazio ed in un tempo sacro, quello in cui possono accadere cose non soggette alle 'normali' leggi delle conseguenze, dove causa, caso e caos cominciano a mescolarsi".

Da una parte lei non capiva, dall'altra invece voleva lasciarsi andare a questa voce suadente. Vedeva gli occhi di Krueger spogliati della sua età, dell'abito talare, della sua rigidità; erano diventati gli occhi d un bambino entusiasta nella mente di un uomo sapiente. Ne era totalmente affascinata.

"Ma come è possibile provocare questo stato?".

"In molti modi; tutte le religioni ne hanno cercato, e messo in atto, alcuni di questi metodi. Ricorda Minah: non c'è niente più importante per l'essere umano che la religione, nulla. Ma non come viene normalmente intesa.

In tutti gli uomini esiste la 'nostalgia del paradiso', il ricordo atavico che abbiamo nel nostro DNA di un tempo e di un luogo mitici. Ci sono alcuni accadimenti che stimolano in noi questa nostalgia; non la riconosciamo come tale, la proiettiamo su desideri, idee fisse, passioni irrazionali, comunque tutte cose ben lontane dal nostro concetto di religione, ma così importanti che spesso influenzano la nostra intera vita.

Nel passato questo era ben chiaro; in molti, fino al 1100 circa, hanno indagato questi stati alterati di coscienza e il rapporto irrazionale tra l'uomo e la materia; fuori dalla logica come la conosciamo perchè figli della stessa natura ma appartenenti a parti destinate ad essere divise.".

Minah deglutì, ma non riuscì in nessun modo a staccarsi da quegli occhi bambini che stavano parlando del gioco preferito.

Come il puntino di un falco visto da lontano che si avvicina, e poi comincia a ruotare alto sopra la testa, così Minah sentiva un pensiero avvicinarsi; lo temeva, ma sapeva che prima o poi sarebbe arrivato in picchiata su di lei.

Prima in modo lontano, infatti, attraverso qualche piccola inflessione di voce, poi in modo più presente, cominciò a notare in quel modo di parlare alcuni dei modi, dei toni, della voce dell'organo.

Respinse il pensiero dapprima, come l'animale che vuole ripararsi dal falco; ma capì che la attirava follemente, appese i suoi occhi a quelli di Krueger, gli si avvicinò per sentirlo meglio, gi si aggrappò allo sguardo e lo fece continuare.

Lui sentiva la sua intelligenza e il profumo di giovane femmina, era inebriato da quella sensazione di potere che in passato aveva sperimentato, goduto e quindi rifiutato, sapeva quanto lontano lo potesse portare; proprio per questo continuò.

"Il rapporto tra le cose e l'uomo, in quei tempi, era diverso. Non esisteva la oggettivazione di un pensiero in un concetto, o meglio, non come la conosciamo oggi; per noi è normale che un concetto o un pensiero siano un qualcosa di totalmente diverso da una mela o una scarpa. Per loro non era così; erano molto più vicini il pensiero e la materia; se vuoi torna indietro fino ai popoli primitivi e ti rendi conto di come, per loro, non c'era praticamente differenza tra l'uno e l'altro, grazie a quella 'partecipation mistique' di cui abbiamo parlato altre volte.

Tutti noi viviamo una vita che ci interroga, che ci chiede risposte, per le quali noi tendiamo a fare in modo di avvicinarci al maggior stato di felicità possibile; riconoscendo nella materia comune tra l'uomo e le cose il punto di partenza, alcuni uomini cominciarono a pensare a processi mentali che influissero sulla materia e a processi materiali che influissero sul pensiero".

Minah stava cercando di capire, ma intuì dove il discorso potesse puntare; volle saltare tutti i processi logici e chiese solo "L'organo l'hai fatto parlare tu?"

Krueger splendeva.

"No Minah. Non è così, non l'ho fatto parlare. In quel momento... io ero l'organo."

Minah sorrideva forte guardandolo fisso negli occhi.

Piangeva piano di gioia; finalmente stava vedendo gli occhi di qualcuno, o qualcosa, che l'aveva amata e che aveva dato per disperso.

Gli si avvicinò e gli accarezzò il viso, così vecchio, e così giovane insieme.

"Ci sono altre cose che devi sapere Minah"

Lui era seduto su una sedia, e lei che era molto vicina si sedette delicatamente sulla sua gamba; le sembrò un gesto naturale, stare così vicina a chi l'aveva amata in modo così tenero.

"Lo so che non capirai, lo so che ti sembrerò matto e da domani puoi rifiutarti di vedermi; ma c'è qualcosa di più."

Lo guardò con occhi lucidi, sorridendo e scuotendo la testa

"Ma cosa ci può essere di più grande di questo?"

Lui aspettò molto a rispondere. Non cercava le parole, già sapeva cosa avrebbe detto; aveva paura dell'effetto che quella enormità avrebbe provocato in una mente così giovane, così fresca.

"Il motivo per cui io sono diventato quell'organo, il motivo per cui ti ho cercata è molto semplice, anche se non ti chiedo di credere a quello che ti dico.

Io sono in te, tu sei in me. Senti."

Lui con la mano delicatamente le grattò una caviglia, poi le tolse i capelli dagli occhi, e poi le strizzò forte un suo polso.

Lei riconobbe esattamente alcuni suoi gesti tipici, gesti che era abituata a fare, piccole abitudini personali; sembrava che fosse la sua mano ad averli fatti.

Le sembrava totalmente incredibile; quell'uomo la conosceva perfettamente: ma da dentro.

"Non ci credo, non ci credo. Come pui conoscermi così?"

"Avvicinati"

Lei si sedette meglio sulla gamba, appoggiandogli la schiena al torace, un braccio dietro al suo collo, l'altro abbandonato lungo il fianco.

Lui continuò a muovere le mani su di lei, in tutti i modi che lei riconosceva come propri.

Ad un certo punto lui iniziò una cantilena, accarezzandole il bacino.

Lei lasciò andare la testa all'indietro, sulla sua spalla.

La cantilena diventava ipnotica, sempre più coinvolgente.

Le mani di lui ruotavano lente sul suo ventre, e lei riconobbe i gesti così intimi, così personali, così sconosciuti a chiunque e cari a sè stessi.

La cantilena.... lei la riconobbe.

Era già uscita dalle canne dell'organo e la voce di lui a poco a poco cambiò.

Sentiva i polmoni di lui muoversi ritmicamente sotto la sua schiena e gli sembravano i mantici dell'organo; la melodia era diventata indistinguibile da quella dell'organo e totalmente coinvolgente, ancora di più lasciò andare la testa appoggiata sulla spalla; la nuca ricadeva sulla schiena, i capelli cadevano all'indietro.

Minah non riusciva più a trovare alcuna differenza tra i movimenti delle proprie mani e quelli di Krueger; sembrava che fosse la volontà di Minah a muovere le mani di Krueger, che suonavano tra le gambe dolcissime ipnotiche melodie.

Krueger sorrise. Si sentiva a casa, "riecco il mio corpo", pensò, lasciandosi andare a quel misto dell'essere maschio o dell'essere femmina, dell'essere ora o essere sempre che aveva solo assaporato nella visione, che solo in quel giorno gli aveva fatto apparire lo splendente essere androgino che non avrebbe mai più dimenticato.

In quei movimenti conturbanti e regolari sentì l'unità con la ragazza, e lei, ancora riversa con la testa all'indietro, la nostalgia di uno stato di luce, vissuta insieme a quello che doveva essere un pezzo di lei; le fu chiaro cosa vuol dire che il tempo e lo spazio sono concetti limitati, visse quell'esperienza in un tempo sacro ed in uno spazio sacro nel quale le sue mani erano il loro condiviso volere immerso nella fonte della vita.

Nello spazio e nel tempo profano, lontano poche decine di metri, scattava il 'click' della macchina fotografica che li riprese così: uno strano essere a quattro zampe, il corpo di lei seduto su una gamba e riverso all'indietro, le mani abbandonate, di lei si vedeva la gola ed il bianco mento puntare verso l'alto, di lui la testa china sul suo seno mentre la mano si perdeva nel suo ventre.

Tornato nella sala colloqui rivide le foto; ora che aveva ripercorso il passato le foto gli sembrarono ancora più vive e la distanza tra l'accusa e la realtà ancora più forte.

Ma ancora troppe cose non combaciavano, per cui decise di affrontarle una ad una.

"Padre Krueger, ha riflettuto? Può rilasciare una confessione completa? le parlo anche come sacerdote".

"Preside, vorrei prima chiarire con lei alcune parti della vicenda che ritengo importante puntualizzare.

Per prima cosa la ragazza non è minorenne".

Donald Guerrini sorrise comprensivo.

"La capisco, ma non reagisca in questo modo... una difesa di questo tipo non reggerebbe, dovrebbe dire la verità".

Krueger si stava infuriando, ma cercò di stare calmo.

"Le dico che non è minorenne. Chi può provare il contrario?"

Suo padre. E' lui che l'ha denunciato, lui che l'ha riconosciuta, lui che l'ha fotografata.

Le scarpe, lo zaino, l'ora: tutti fattori provati e innegabili. A quell'ora sua figlia era da lei per ripetizioni. Suvvia, non tenti di negare."

Qualcosa cominciava a dipanarsi.

"Suo padre appartiene quindi alla famiglia di una ex-allieva che ha denunciato la scuola, come mi aveva detto?"

"Si certo"

"e si potebbe sapere chi è questo padre che va in giro a fotografare sua figlia di nascosto?"

"Non è questo il punto.. dovrebbe saperlo lei benissimo chi è"

"Signor preside, mi creda: io lo ignoro totalmente"

"Non mi prenda in giro! Ci sono le foto! le prove! Non può continuare a negare! Ammetta tutto, così potremo aiutarla!"

"Io ignoro chi sia questa famiglia!"

A questo punto si udì un trambusto nel disimpegno, con rumori che sembravano urla soffocate.

Krueger si voltò verso il preside, con aria feroce e interrogativa.

Il preside si fece ancora più piccolo, nascondendo gli occhi dietro gli occhiali "Era per il suo bene..."

"Per il mio bene cosa?"

"Ehm.. il padre della ragazza è di là con il vice ispettore. Ha sentito tutto. Ho organizzato tutto questo in modo da poterle agevolare il confronto con la... parte lesa".

Krueger avvampò di rabbia.

Si alzò facendo cadere la sedia, ad ampi passi andò verso la porta del disimpegno e quasi la scardinò a forza aprendola.

Dall'altra parte c'erano due persone; una sconosciuta, l'altra il signor Destefani.

Lo sconosciuto era molto calmo.

Il signor Destefani paonazzo, gli si avventò subito contro urlando "confessi, confessi tutto, prete pedofilo e pervertito!", spingendolo nella sala colloqui.

Il preside invitò tutti alla calma e presentò il vice ispettore Pantani a Krueger, che salutò cortesemente, per quanto la situazione glielo permettesse.

Ancora rabbioso, questa volta utilizzò la rabbia per elaborare una strategia.

Estrasse il cellulare e chiamò una persona, prima che glielo impedisse il vice ispettore.

"Lorenza? Ciao, sono padre Krueger" e mise in viva voce.

Ciao Lorenza, tuo padre mi sta accusando di aver fatto violenza su di te".

[capitello nella pieve di Santa Maria Assunta a Stia (Arezzo) ]

C'è la pagina Facebook di Krueger, e il romanzo si può approfondire e comprare su krueger.losero.net.

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